IL CASO BARI

ALESSANDRO PARROTTA L’INSPIEGABILE BLITZ DEI MAGISTRATI NEL CONSIGLIO GIUDIZIARIO

ALESSANDRO PARROTTA

AVVOCATO, DIRETTORE ISPEG

Il 2020 sarà certamente ricordato come l’anno in cui il mondo ha dovuto confrontarsi con la diffusione del covid- 19: in questo senso la pandemia ha occupato le prime pagine di tutti i giornali facendo in qualche modo passare in secondo piani gli ulteriori problemi irrisolti che da anni affliggono un Paese come il nostro. Problemi che ovviamente sono solo stati celati, ma che sono destinati, alla conclusione della pandemia, a imporsi con tutta la loro drammatica evidenza.

Una di queste annose problematiche, su cui l’attenzione posta deve essere sempre massima - anche in periodo pandemico - è senz’altro legata al tema della giustizia, oggetto ormai da lustri di tentativi di riforma, alcuni dei quali già censurati anche su queste pagine e altri, invece, compresi alcuni recenti, meritevoli di pregio.

Ed ecco allora la necessità in quest’ultimo spiraglio di 2020 di commentare e mettere in evidenza alcuni aspetti della riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, alla luce ed in considerazione di quanto accaduto nei giorni scorsi a Bari, dove i rappresentanti dell’Avvocatura hanno espresso in maniera chiara il loro disappunto per l’ingiustificata, incomprensibile e inopportuna soppressione del cosiddetto diritto di tribuna per i quattro consiglieri laici in occorrenza delle riunioni del Consiglio giudiziario destinate alla formulazione dei pareri sulle “carriere” dei magistrati.

La problematica sollevata dagli avvocati di Bari, ma non solo, riguarda in maniera indiretta il punto della riforma, in ottica di trasparenza e pubblicità, del Csm relativa ad alcune modifiche del sistema di funzionamento del Consiglio giudiziario e delle valutazioni di professionalità.

In particolare, la disposizione in oggetto, ora al vaglio della Camera, prevederebbe da un lato l’introduzione in modo obbligatorio del diritto di tribuna per i membri laici, ovverosia della facoltà per i componenti avvocati e professori universitari di partecipare alle discussioni e di assistere alle deliberazioni relative all’esercizio delle competenze del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari di cui, rispettivamente, agli articoli 7 ( comma 1, lettera b) e 15 ( comma 1, lettera b) del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25. Dall’altro lato, è inserita la previsione per la quale, al fine di consentire al Consiglio giudiziario l’acquisizione e la valutazione delle segnalazioni del Consiglio dell’Ordine degli avvocati, ai sensi dell’articolo 11 ( comma 4, lettera f) del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, il Csm ogni anno debba individuare i nominativi dei magistrati per i quali nell’anno successivo maturi uno dei sette quadrienni utili ai fini delle valutazioni di professionalità, e debba dunque darne comunicazione allo stesso Ordine forense.

Tale pregevole previsione è stata, tuttavia, inspiegabilmente disattesa proprio a Bari, ove, come anticipato, la maggioranza togata del Consiglio giudiziario nella sessione del 17 dicembre scorso ha approvato, senza la partecipazione dei membri laici, una modifica del regolamento con cui si elimina proprio quel diritto di tribuna a scapito dei membri non togati, diritto che nel distretto di Corte d’appello era stato comunque introdotto, nella consiliatura precedente, nonostante la riforma prima ricordata non sia ancora stata approvata dal Parlamento. In particolare, nel capoluogo pugliese è stata abolita la possibilità per i membri laici di partecipare, pur senza diritto di voto, proprio alle sedute sulle valutazioni dei magistrati.

Per tali motivi i consiglieri laici hanno espresso mediante una lettera al presidente e al procuratore generale della Corte di Appello il loro disappunto; disappunto condiviso dalla Camera penale del Foro barese e da quelle degli altri due Fori che fanno parte del distretto, ossia Foggia e Trani.

Tutte e tre hanno dichiarato, in modo congiunto, lo stato di agitazione, e hanno invitato il legislatore a «proseguire sulla strada della pubblicità intrapresa con la riforma al vaglio delle Camere».

Ed è proprio di questo che si tratta: pubblicità e trasparenza nelle procedure che riguardano i rappresentanti dello Stato; in questo caso la valutazione degli stessi.

In questo senso, i metodi assolutamente sbrigativi assunti dalla parte togata del Consiglio Giudiziario di Bari ledono questi principi democratici in maniera evidente e privano l’irragionevole decisione assunta dell’essenziale elemento del confronto, che in una democrazia deve sempre essere presente.

Risulta, quindi, assolutamente condivisibile il dissenso esposto dall’avvocatura pugliese per la decisione assunta, ancora una volta, a scapito sia dei principi democratici e sia dell’avvocatura stessa.

Si tratta, riprendendo le parole dei componenti laici del Consiglio giudiziario di Bari, di un arretramento inaccettabile nel percorso intrapreso e finalizzato a una sempre maggiore trasparenza e pubblicità delle procedure pubbliche. Un fenomeno di censura come quello verificatosi durante la riunione del 17 dicembre a Bari, perché di questo si tratta, deve essere messo in luce affinché non si ripeta in futuro.