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«Sono stati apposti i sigilli alla stanza d’ufficio del procuratore Borsellino, dove era collocata un’agenda rossa che nella fase iniziale delle indagini è stata ritenuta l’agenda contenente gli appunti personali di natura riservata». A riferirlo è Salvatore Pilato, il quale il giorno della strage di Via D’Amelio era in servizio come magistrato di turno. Testimonianza shock emersa per la prima volta, dopo 31 anni, dal nuovo libro di Vincenzo Ceruso dal titolo “La strage. L'agenda rossa di Paolo Borsellino e i depistaggi di via D'Amelio” edito da Newton Compton Editor.
Per sgomberare qualsiasi dubbio o inevitabili retropensieri va subito detto che Ceruso, uno studioso palermitano allievo di padre Pino Puglisi, ha svolto un lavoro che nessun giornalista e nessuna procura ha mai fatto finora: sentire per la prima volta il magistrato di turno che all’epoca della strage era in servizio presso la procura di Palermo. Grazie al certosino lavoro svolto da Ceruso e ben compendiato nel libro, emerge con tutta chiarezza che le indagini sono tutte da rifare. Oltre trent’anni di deviazioni verso le “entità”, depistaggi da parte di testimonianze che hanno evocato gli uomini in nero sul luogo della strage, non hanno consentito di vagliare tutti quei dettagli che erano in realtà già sotto gli occhi di tutti.
Come mai l’agenda rossa era finita in procura come riferisce chiaramente il magistrato Pilato, anche se nel contempo afferma che così un collega gli ha riferito? In realtà, e l’autore del libro lo ha spiegato attraverso fonti documentali, la borsa che Borsellino teneva con sé non era semivuota. Non conteneva solo l’agenda rossa “sparita”, ma era piena zeppa di documenti. Che fine hanno fatto? Una risposta potrebbe esservi e la si evince da altri elementi che attualmente non risultano vagliati dalle autorità competenti e ultimamente evocate in commissione antimafia da Fabio Trizzino, legale dei figli di Borsellino: le audizioni dei magistrati Gioacchino Natoli e Vittorio Aliquò rese innanzi al CMS a una settimana dalla strage di Via D’Amelio.
Ma per spiegare bene di che cosa si sta parlando, bisogna riportare ciò che Vincenzo Ceruso scrive dettagliatamente nel suo libro. Al Csm i due magistrati spiegano come Borsellino, dopo una forte resistenza, è riuscito a farsi dare la delega per interrogare l’allora pentito Gaspare Mutolo. Una comunicazione – come ben scrive l’autore nel libro – avvenuta dapprima attraverso una sorta di pizzino, in cui è scritto al magistrato assegnatario: “Ti avvarrai della collaborazione e del coordinamento del collega Borsellino”. Il biglietto viene allegato al fascicolo che raccoglie le prime deposizioni del pentito e che si trovava nella borsa del Giudice, tra i documenti che egli portava con sé.
Ceruso scrive che lo sappiamo rileggendo la deposizione di Gioacchino Natoli, resa davanti al Csm il 30 luglio 1992: «Acquisire non è facile, perché si trovava (il fascicolo di Mutolo, ndr) nella borsa di Paolo Borsellino che era con lui ed è stato sequestrato; noi siamo in possesso dei verbali perché Paolo era andato via il venerdì, io resto con Guido Lo Forte a lavorare il venerdì pomeriggio ed il sabato e quindi i verbali li avevamo trattenuti noi. Infatti, noi avevamo i verbali e Paolo aveva tutto il fascicolo».
Quanto riferisce nella sua testimonianza il dottor Natoli è confermato nell’audizione di Vittorio Aliquò: «Sì, dopo la morte di Falcone, nei primi di questo mese. Non posso dire di più perché oltretutto sto dicendo questo a mia memoria, in quanto il fascicolo lo aveva nella borsa Borsellino ed è rimasto chiuso lì tra le carte sequestrate; quindi, non ricordo bene se la nota era a firma di Vigna o se era solo il verbale a firma di Vigna, questo non posso essere preciso, comunque c’è la traccia documentale, il fascicolo è fra le carte di Borsellino».
Sono passati 31 anni dalla strage e incredibilmente a nessuno è balzato agli occhi ciò. Si è sempre pensato che dalla borsa avrebbero sottratto – non si sa chi, dove e come – l’agenda rossa e basta. Invece ora è chiaro che alcuni magistrati di Palermo all’epoca hanno visto le carte nella borsa e legittimamente sequestrate. Giustamente, l’autore del libro dà per scontato che in seguito siano state trasmesse ai pubblici ministeri competenti. In più, sempre grazie al libro, ora sappiamo che c’era anche l’agenda rossa. Altrimenti non si spiega come sia stata vista sopra il tavolo dell’ufficio di Borsellino subito dopo la strage.
Ci sono testimonianze discordanti sul passaggio della borsa ed è difficile unire i tasselli. L’autore le elenca e le vaglia attentamente. Bisogna chiarire come sia avvenuto il primo depistaggio che, come ben scrive l’autore, ha a che fare con il movente ultimo dell’attentato. Cos’aveva scoperto di tanto pericoloso Borsellino? Ceruso spiega che egli aveva individuato le connessioni che legavano la strage di Capaci, la penetrazione mafiosa negli appalti pubblici, gli interessi politico-imprenditoriali a livello nazionale (ben prima di Tangentopoli) e le complicità nel mondo giudiziario siciliano dell’epoca.
Abbiamo anche la certezza che Borsellino ha annotato nell’agenda qualche appunto di natura riservata. Ma ora abbiamo la certezza assoluta che l’agenda aveva i suoi “allegati”, ovvero i documenti. Ceruso parla di “tesoro documentale” scomparso «dall’orizzonte di interesse dell’opinione pubblica (altra questione è in quale misura sia scomparso da quello investigativo) insieme alla sua borsa, nelle primissime ore dopo l’esplosione». Ma tali carte, stando alle audizioni di Natoli e Aliquo, sono state viste e sequestrate.
Grazie alla testimonianza autorevolissima raccolta nel libro, disponiamo di un dato certo riguardo al momento in cui la borsa di Borsellino sarebbe stata portata via dal luogo dell’attentato: intorno alle sei meno un quarto, un ufficiale dei carabinieri riferisce al magistrato Pilato che la borsa era già stata posta sotto sequestro dagli uomini dell’Arma. Successivamente, e qui risulta particolarmente complesso fare chiarezza, il materiale è giunto in procura.
Sicuramente, l’agenda rossa, ora che sappiamo per la prima volta che era sul tavolo dell’ufficio di Borsellino. Quindi, come ipotizza lo stesso autore del libro, la sua scomparsa definitiva non sarebbe avvenuta in via D’Amelio, bensì nel luogo in cui il suo proprietario lavorava quotidianamente e conservava i documenti più importanti.
Ma tutti questi documenti che fine hanno fatto dopo il sequestro? Ceruso è ottimista. Si trovano verosimilmente negli archivi di alcune procure siciliane, tra scaffali impolverati e fascicoli. In fondo tante prove sono state dimenticate. Testimonianze comprese. L’autore ripesca una deposizione avvenuta al primo processo Borsellino. Parliamo dell’allora colonnello Enrico Brugnoli: racconta di aver aiutato l’allora magistrato nisseno Cardella (ricordiamo che recupererà la borsa presso la questura di La Barbera solo a novembre del 1992) a repertare il contenuto. Elenco completamente scarno. Ma nell’elencazione, Brugnoli confermerà la presenza di almeno tre documenti. Dalle domande poste dal Pm sembrerebbe che siano state fatte delle fotocopie. Almeno quelle è possibile, quindi, recuperale.
Ma per comprendere meglio il quadro bisogna leggere il libro “La strage. L'agenda rossa di Paolo Borsellino e i depistaggi di via D'Amelio” dove tutto è ricostruito in maniera certosina. Anche ponendo nuovi elementi sulla modalità della strage dove emerge la contraddizione sul rinvenimento del “blocco motore” e non solo. Una ricostruzione che nessuna sentenza sulla strage ha mai fatto e che non troverete mai in nessun altro libro di “inchiesta” sull’argomento. Ora toccherà alla procura nissena vagliare di nuovo da capo. Magari senza gli inevitabili condizionamenti e tesi che hanno allontanato la verità dei fatti. Trovare i documenti, eventuali relazioni di servizio anche da parte dei magistrati di turno, verbali. E magari ascoltando tutti i togati viventi di allora. Quel terribile giorno, in procura, c’erano quasi tutti. Anche questo emerge dalle audizioni al Csm.