La Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha condannato la Svizzera per non aver fatto abbastanza contro i cambiamenti climatici. E questa sentenza ha in sostanza affermato un principio: risolvere la crisi climatica significa garantire la tutela dei diritti umani.

La decisione della Corte di Strasburgo, avendo carattere vincolante, farà giurisprudenza e potrà quindi avere effetti diretti sulla legislazione europea oltre che, naturalmente, su quella italiana. Nello specifico nella causa delle “Anziane per il clima contro la Svizzera” (’Verein KlimaSeniorinnen Schweiz and Others v. Switzerland’) la Corte ha condannato il Paese elvetico per aver violato l’articolo 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) e l’articolo 6 (Diritto a un equo processo) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’articolo 8 è stato interpretato in modo tale che ricomprendesse «il diritto a una protezione effettiva da parte degli Stati contro i gravi effetti negativi del cambiamento climatico sulla vita, la salute, il benessere».

Nel caso in questione la Corte ha rilevato che la Confederazione Svizzera non ha adempiuto ai suoi doveri (’positive obligations’) e, pur riconoscendo che «le autorità nazionali godono di un ampio potere discrezionale in relazione all’adozione di leggi e misure», è stato ritenuto che il Paese non ha agito «in tempo e in modo appropriato per concepire, sviluppare e attuare le leggi e le misure opportune. Elemento, questo, che viola i diritti umani».

Nell’ambito di questo procedimento, anche l’Italia tramite l’Avvocatura generale dello Stato, aveva presentato una propria memoria per supportare la posizione della Svizzera. La Corte europea dei diritti umani ha anche respinto le cause intentate da sei giovani portoghesi e da un sindaco francese sulle stesse basi del gruppo svizzero. Ma entrambi i casi sono stati respinti più per vizi di forma che di sostanza: da un lato i giovani portoghesi non avevano intentato causa contro il Portogallo, dall’altro il sindaco di Grand-Synthe, una città costiera vulnerabile alle inondazioni, non vive più lì.

«Queste sentenze sono un invito all’azione - ha detto l’attivista svedese Greta Thunberg, presente a Strasburgo per l’udienza - sottolineano l’importanza di portare i nostri governi nazionali in tribunale». Adesso, sulla base di questa sentenza, molte controversie - “cause climatiche” che secondo l’Unep (il programma ambientale dell’Onu) sono raddoppiate dal 2017 a oggi - potrebbero prendere una strada pressoché obbligata. Per il Wwf è stata «ufficialmente connessa la crisi climatica alla tutela dei diritti umani». È una «vittoria storica» per Greenpeace.

Tra l’altro - osservano le associazioni - gli Stati europei potrebbero essere «invitati dai cittadini a rivedere e, se necessario, rafforzare la loro politica climatica sulla base dei principi» menzionati dalla Corte, «per salvaguardare i diritti umani». La questione posta dalla crisi climatica diventa sempre urgente, come ricorda la scienza e, soltanto ultimo in ordine di tempo, Copernicus (il Servizio per il Cambiamento Climatico implementato dal centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine per conto della commissione Europea) secondo cui nell’ultimo anno la temperatura media è stata di 1,68 gradi centigradi più alta rispetto al periodo pre-industriale.

(Tommaso Tetro/Lapresse)