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In foto un'immagine scattata da una telecamera termica di un aereo di Frontex
Sessantasette vittime accertate. L’ultima, questa mattina, un altro bambino. Morti forse evitabili, dal momento che «si poteva uscire anche con mare forza 8». Ovvero con onde alte tra i 9 e 14 metri, molto più di quelle che nella notte tra il 25 e il 26 febbraio hanno spezzato la vita di decine di migranti arrivati a due passi dalla Calabria. Quella notte, infatti, il mare era “solo” forza 4, con onde fino a 2,5 metri.
A dirlo, davanti alla camera ardente allestita al PalaMilone, è stato il comandante della Capitaneria di porto di Crotone, Vittorio Aloi. Che di fronte alle domande pressanti dei giornalisti, intenzionati a capire se qualcuno, quella notte, avrebbe potuto evitare la tragedia, rimanda al comunicato ufficiale della Guardia Costiera. Quella nota si può ridurre ad una frase: nessuno ci ha avvertiti per tempo. La comunicazione sarebbe arrivata, infatti, soltanto alle 4.30 del mattino, quando sulla spiaggia tre pescatori si sono imbattuti nei primi corpi senza vita. E i primi uomini della Guardia Costiera sono arrivati, via terra, soltanto un’ora dopo, alle 5.35.
Quel che è certo è che lo Jonio in tempesta era sicuramente ingestibile per quel caicco carico di umanità, marcio e inzuppato di gasolio. Ma non per motovedette attrezzate, specie se in dotazione si hanno anche mezzi capaci di rimanere sempre a galla. Il problema del naufragio di Crotone, dunque, sta tutto nella catena dei soccorsi, «arrivati quando il fatto era già successo», ammette Aloi, anche lui provato da tutta quella morte: «Ne puoi salvare centomila ma poi un solo bambino o una famiglia che non riesci a salvare ti fa sembrare inutile il tuo lavoro». Lavoro che si basa su precise «regole d’ingaggio», secondo cui «le operazioni le conduce la Finanza fin quando non diventa un evento Sar». Insomma, sarebbero dovute intervenire le Fiamme Gialle, stando ai piani operativi, che «non dipendono solo dal nostro ministero di competenza, ma anche dal Viminale».
Tra Frontex, l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, e la Guardia Costiera, per tutta la giornata di martedì, c’è stato un rimpallo di responsabilità. «Siamo profondamente addolorati per la tragedia al largo di Crotone», spiega al Dubbio l’ufficio stampa di Frontex, mentre fornisce la sua versione dei fatti. Secondo la quale la morte di quasi 70 persone è dovuta soltanto alle «azioni di trafficanti senza scrupoli che hanno stipato persone a bordo in condizioni di maltempo». Nella notte di sabato - circa 24 ore prima della tragedia -, spiega l’ufficio stampa, un aereo di Frontex che monitorava l'area di ricerca e soccorso italiana nell'ambito dell'operazione Themis ha avvistato una barca in acqua diretta verso la costa italiana. A bordo era visibile solo una persona: «La barca navigava da sola e non c'erano segni di pericolo - spiega l’Agenzia -. Tuttavia, le termocamere di bordo hanno rilevato una significativa risposta termica dai boccaporti aperti a prua. L'aereo ha anche rilevato una telefonata satellitare dalla barca alla Turchia. Ciò ha sollevato i sospetti degli esperti di Frontex». A questo punto, dunque, «come sempre in questi casi, abbiamo immediatamente informato dell'avvistamento il Centro di Coordinamento Internazionale dell'operazione Themis e le altre autorità italiane competenti, fornendo posizione, rotta e velocità dell'imbarcazione».
Il Comando generale della Guardia Costiera, dunque, già sabato notte sarebbe stato a conoscenza della presenza di quella nave e del fatto che potesse essere piena di persone. «Il nostro aereo ha continuato a monitorare l'area fino a quando non è dovuto rientrare alla base per mancanza di carburante. L'Autorità italiana coinvolta ha inviato due motovedette per intercettare la nave; tuttavia le avverse condizioni meteorologiche le hanno costrette a rientrare in porto», spiega ancora la nota. Ciò perché l’evento è stato trattato non come operazione di salvataggio - dichiarata soltanto nelle prime ore di domenica, dopo il naufragio -, bensì come un “evento di polizia” (law enforcement). Insomma, le motovedette partite sabato sera erano a caccia di possibili reati, non di persone in pericolo. E solo alle 04.30 «giungevano alla Guardia Costiera alcune segnalazioni telefoniche da parte di soggetti presenti a terra relative ad un’imbarcazione in pericolo a pochi metri dalla costa».
Sul posto c’erano ormai già i Carabinieri - allertati dalla Guardia di Finanza - che appena arrivati sulla spiaggia si sono imbattuti nei primi corpi, tra i quali quello di un bambino, al quale hanno praticato inutilmente un disperato massaggio cardiaco. E solo a questo punto - spiega il comando generale - è stata informata la Guardia Costiera. «Nessuna segnalazione telefonica è mai pervenuta ad alcuna articolazione della Guardia Costiera dai migranti», recita una nota diramata martedì. Una circostanza quasi certa, dal momento che i migranti sopravvissuti hanno raccontato dell’impossibilità di utilizzare i cellulari: gli scafisti erano infatti in possesso di un Jammer, un disturbatore di frequenze utilizzato per impedire ai telefoni cellulari di ricevere o trasmettere onde radio.
Perché l’evento sia stato trattato come questione di ordine pubblico e non come missione di salvataggio è una delle domande alle quali ora la procura proverà a rispondere. Anche se per il momento l’indagine non riguarda la catena dei soccorsi, bensì gli scafisti, per i quali il gip del Tribunale di Crotone ha intanto convalidato il fermo. Si tratta di un turco di 50 anni e di un pakistano di 25 anni, fermati lunedì insieme ad un giovane di 17 anni, per il quale procede il Tribunale dei minorenni di Catanzaro che ha fissato l'udienza di convalida per domani. Le accuse sono di favoreggiamento all'immigrazione clandestina, naufragio colposo e lesioni. Un quarto scafista risulta indagato, ma al momento è irreperibile.