La premeditazione può essere esclusa nei casi in cui sia stato accertato uno scompenso psicotico tale da determinare una condizione di parziale capacità, che logicamente potrebbe incidere anche sul sorgere e sul perdurare di una volontà lesiva. A stabilirlo è la Cassazione, prima sezione penale, con la sentenza numero 21894 del 31 maggio 2024 scorso. La vicenda è quella relativa ad un tentato omicidio pluriaggravato - commesso da R. M. nei confronti dell’ex moglie - e porto ingiustificato di due coltelli. L’uomo era stato giudicato con il rito abbreviato, condizionato alla verifica della capacità di intendere e di volere dell’imputato, capacità confermata dal Tribunale di Salerno, che lo ha condannato a 10 anni, con l’aggravante della premeditazione.

La Corte di Appello di Salerno, il 16 maggio 2023, ha riformato la sentenza di primo grado, riconoscendo il vizio parziale di mente con valutazione di equivalenza rispetto alle ritenute circostanze aggravanti (della qualità soggettiva della vittima, della minorata difesa e della premeditazione), rideterminando la pena in sette anni e sei mesi di reclusione. La Corte d’Appello ha disposto una nuova perizia anche in virtù del fatto che nel processo parallelo per maltrattamenti ai danni della stessa persona offesa si era giunti ad un riconoscimento del vizio parziale di mente.

Secondo il perito nominato dai giudici d’appello, l’uomo sarebbe stato affetto da un disturbo psicopatologico psicotico depressivo, «tale da determinare una consistente e obiettiva riduzione della capacità di intendere e di volere al momento del fatto». Nella perizia si fa riferimento alla presenza di «momenti acuti» di scompenso, che includerebbero anche il tentato omicidio oggetto del processo, intervallati a momenti di lucidità. Un lavoro completo, secondo la Corte, quello del perito, che sarebbe stato effettuato con un metodo corretto.

Secondo i giudici d’appello, inoltre, la patologia sarebbe «senza dubbio alcuno» in rapporto di causalità col fatto commesso, giungendo dunque a stabilire la sussistenza del vizio parziale di mente. Per quanto riguarda la premeditazione, però, secondo i giudici d’appello non era da escludere, nonostante il vizio di mente, date le modalità di realizzazione del fatto, con l’attesa della vittima e la predisposizione degli strumenti di offesa. Per i giudici, nell’uomo non c’era «alcuna manifestazione incentrata su una “idea ossessiva”, che gli aveva creato vistose distorsioni della realtà che si erano spinte sino al punto di indurlo a coltivare un delirio allo scopo di liberarsi della donna».

L’imputato ha impugnato la sentenza, rilevando elementi di contraddittorietà laddove viene riconosciuta la sussistenza - e l’incidenza - del disturbo psichico sulla capacità di intendere e di volere al momento del fatto ma si esclude un’alterazione del processo volitivo per quanto riguarda la premeditazione. Secondo la Cassazione, l’accertamento della circostanza aggravante della premeditazione «richiede un approfondito esame delle emergenze processuali che porti ad escludere, con assoluta certezza, che la persistenza del proposito criminoso sia stata concretamente influenzata da uno degli aspetti patologici correlati alla formazione od alla persistenza della volontà criminosa». I giudici di merito devono dunque valutare la «esistenza di una rimproverabilità in concreto della premeditazione (naturalisticamente intesa), rimproverabilità che è da escludersi quando l’atteggiamento psichico ( fermezza del proposito criminoso) è influenzato da fattori patologici». E sul punto la sentenza impugnata risulterebbe, secondo i giudici di legittimità, non adeguata.

«Se infatti la “polarizzazione ideativa” descritta dal perito che ha caratterizzato le condotte del R. (sia persecutorie che di aggressione fisica) è stata ritenuta inquinata e condizionata a monte da uno scompenso psicotico tale da determinare una condizione di parziale capacità, non appare logico affermare che detta patologia non abbia inciso sul sorgere e sul perdurare di una volontà lesiva nei confronti della V. o, quantomeno, simile affermazione non può essere operata in modo assertivo (così come in sentenza), emergendo piuttosto un serio indizio di effettiva incidenza di detta condizione patologica sulla rimproverabilità della premeditazione».

Da qui l’esigenza di rivalutare il punto, «potendo una decisione in termini di esclusione della circostanza aggravante in parola avere effetto sul giudizio di comparazione, e dovendosi in ogni caso ritenere sussistente l’interesse (anche di ordine morale) del condannato alla esclusione della aggravante».