La politica giudiziaria riflette i criteri sviluppati consapevolmente dal giudice per la soluzione dei casi difficili o privi di normative. E quando parliamo di politica giudiziaria dobbiamo tenere questa distinta chiaramente dalla politica del diritto. La prima è quella sulla quale il giudice sceglie delle alternative possibili nei casi difficili. Oggi lo strumento più efficace per renderla operativa è certamente l’intelligenza artificiale. La seconda invece si riferisce alla finalità delle norme giuridiche. Una finalità fatta propria dal legislatore, dal governo, caratterizzata da obiettivi sociali. Difatti la politica giudiziaria, seguita dal giudice, si realizza nell’ambito di vuoti lasciati aperti dalla politica del diritto nei casi difficili. La norma segue una specifica linea giuridica, la cui formulazione, nei casi facili o intermedi, non comporta alcun intervento discrezionale; nei casi difficili, invece, il giudice deve esercitare la propria discrezionalità per dargli applicazione. Ed è certamente in questa ricerca che egli si avvale di nuovi strumenti interpretativi, posti a sua disposizione attraverso l’intelligenza artificiale.

La politica giudiziaria, quindi non si radica nelle norme giuridiche; è, invece, formata da una serie di considerazioni ed il suo significato risiede appunto nella consapevolezza della libertà di scelta del giudice tra varie alternative e nella considerazione dei fattori di carattere normativo, istituzionale ed interistituzionale che intervengono in questo processo. Possiamo certamente sostenere che i principi della politica giudiziaria non vincolano il giudice: se così fosse verrebbe meno la discrezionalità e l’interpretazione del caso difficile. Ovviamente alcune interpretazioni possono essere talmente condivise nel corso degli anni da essere considerate dal legislatore o dalle pronunce che si avvalgano di esse in un sistema di common law quale diritto cogente, il che significa che la discrezionalità del giudice sarà soggetta ad ulteriori limitazioni ed alcuni casi da difficili si trasformeranno in facili ed intermedi. Tuttavia, finché tale metamorfosi non ha luogo, la politica giudiziaria permane una politica di carattere extra legale.

Ci si può domandare se la politica giudiziaria è emanazione del singolo giudice o del potere giudiziario? In altri termini se nei casi difficili il giudice ne segua una personale e si affidi alla propria esperienza personale, alla propria soggettività in modo che la politica giudiziaria cambierebbe a seconda dei giudici. Di fatto ciò non accade in quanto la discrezionalità si esercita innanzitutto in un settore oggettivo,

ampio, dato da valori condivisi dalla stessa comunità dei giudici, accanto al quale ovviamente è riscontrabile un altro ambito in cui il giudice è lasciato alla ricerca di interpretazioni personali. La politica giudiziaria si rivela quindi una combinazione di vari elementi, alcuni dei quali comuni a tutti i giudici, altri diversi da un giudice all’altro.

Pertanto all’interno di tale ambito di oggettività, si può affermare che la politica giudiziaria sia comune a tutto il sapere dei giudici, trasformandosi effettivamente nella loro politica. Credo che si possa essere d’accordo sul fatto che un sistema giuridico che si componga solo di principi generali, finalità sociali, e criteri di discrezionalità del giudice, sia poco desiderabile, poiché un simile sistema giuridico sacrifica la certezza, l’unità e la stabilità del diritto e contrasta con il bisogno ben radicato nell’animo umano di sapere come regolare la propria vita. Pertanto le società moderne fondano essenzialmente il proprio ordinamento su una miscela di regole e principi, validità dei precedenti e capacità interpretativa dei giudici. Il problema è tuttavia quello di costituire un equilibrio appropriato tra i vari elementi. Qual è la giusta quantità di discrezionalità e qual è la proporzione di regole inviolabili che il sistema deve contenere? Dove si colloca il punto ottimale di equilibrio tra regole rigide e principi flessibili.

La tendenza del settore legislativo attuale sembra rivolgersi verso un accrescimento della discrezionalità dei giudici, essi infatti ricorrono ad un linguaggio normativo che appare caratterizzato dall’indicazione di principi, finalità sociali che realizzano una giustizia individuale preferibile alla conservazione di regole astratte. Questa tendenza si rafforza anche nella volontà del legislatore di procedere a generalizzazioni, ed alla sua scelta della più comoda via di fuga, ovvero lasciare che il problema sia affrontato a livello giudiziale. Un esempio inconfutabile quello dell’aiuto al suicidio medicalizzato che in cinque anni non ha trovato modo di essere regolamentato dal legislatore. E non mancano certo vuoti normativi ogni qualvolta si tratta di regolamentare le nuove tecnologie. Tuttavia quando il giudice risolve il conflitto dovrà ancora in via primaria tenere conto del diritto e non cercare di risolverlo secondo i valori dominanti del momento o secondo il suo personale metro di valori.