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L’ordine di esecuzione era stato archiviato 12 anni fa e le pene dichiarate estinte. Ciononostante, un uomo è stato arrestato a Malpensa, subito dopo essere atterrato dopo un lungo viaggio, e trattenuto per una notte in carcere, “complice” la domenica.
A raccontare la vicenda è Giuseppe Calderazzo, difensore di Giuseppe B., che ora ha sporto denuncia - informando anche i ministri Carlo Nordio (Giustizia), Matteo Piantedosi (Interno) e Guido Crosetto (Difesa) - per «la illegale limitazione della propria libertà personale». Tutto è accaduto il 3 marzo scorso, quando Giuseppe stava rientrando - dopo 20 anni di assenza - dalla Repubblica Dominicana per presentare sua moglie alla famiglia. Una volta atterrato a Malpensa, l’uomo «è stato illegalmente tratto in arresto - si legge nella denuncia - dalla polizia di frontiera, in quanto asseritamente destinatario di un ordine di esecuzione alla pena di anni 2 mesi 3 e giorni 20 di reclusione».
Tutto normale, se non fosse che l’avvocato Calderazzo, subito contattato dal signor Giuseppe, con due diverse mail, inviate a due ore circa di distanza l’una dall’altra, ha fatto avere alla polizia di frontiera sia il provvedimento di restituzione dell’ordine di esecuzione sia la relativa archiviazione degli atti esecutivi, a seguito del provvedimento con il quale erano state dichiarate estinte le pene.
«Qualcosa, o forse più di qualcosa, deve essere andato storto se la polizia di frontiera, dopo l’estenuante confronto con i documenti offerti dal legale, oppone, con il piglio della certezza, tre roboanti argomenti: i provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria ma provenienti da un avvocato devono essere confermati (vai a capire perché) dalla stessa autorità emittente e siccome era domenica questa verifica non poteva essere effettuata - scrive Calderazzo sul sito della Camera penale di Locri -; i carabinieri di Borgia (Cz), appunto quelli inizialmente incaricati dell’esecuzione, sostenevano che il provvedimento del 2012 “era ancora in piedi” (in che senso?) perché sebbene avesse lo stesso numero di procedimento nei confronti della stessa persona e per quelle pene estinte da qualche anno portava comunque una “sigla” diversa; infine, buon ultimo, quel provvedimento del 2012 risultava inserito nella Banca dati interforze e da eseguire». E ciò nonostante Calderazzo avesse a suo tempo chiesto l’aggiornamento del casellario, senza alcun esito.
«È evidente - si legge nell’esposto - che ci si trova di fronte ad una gravissima violazione dell’articolo 13 della Costituzione determinata sia dal mancato aggiornamento (per anni) della banca dati interforze sia dalla incompetenza che ha caratterizzato la condotta degli agenti di Pg di Malpensa e soprattutto di Borgia, specie ove si pensi che proprio alla stazione dei Carabinieri di Borgia la procura della Repubblica di Reggio Calabria aveva inviato, per la notifica, dapprima il provvedimento del nuovo cumulo di pene concorrenti (che assorbiva quello della procura generale di Catanzaro) e poi la richiesta di ritiro dello stesso per estinzione delle pene ivi contenute, sicché non si comprende come il Comando di quella Stazione dei Carabinieri, o comunque gli “operatori della stessa”, poteva(no) seriamente sostenere la attuale esecutività di un provvedimento in realtà archiviato 12 anni prima».
Ma c’è pure un’altra considerazione: i provvedimenti ostentati da un avvocato, anche quando firmati da un giudice, devono essere «verificati - scrive ancora il penalista - perché, evidentemente, ammantati dal sospetto figlio di quella subcultura della collusione che fa percepire con viscerale avversione, purtroppo non solo alle forze dell’ordine, alcuni fondamentali principi della nostra Costituzione». Uno smacco al quale si aggiunge anche la difficoltà a correggere un errore se questo viene commesso di domenica. «Che è come dire: di domenica non si possono arrestare le persone (esattamente quello che, però, stavano facendo) perché non ci sono pubblici ministeri di turno a Milano a cui dare “immediata notizia” del luogo dell’arresto, a cui “consegnare” l’arrestato e a cui consentire, magari, di liberarlo immediatamente quando l’arresto è stato effettuato “fuori dai casi consentiti dalla legge”», aggiunge il legale.
E di questo si tratta, nel caso di Giuseppe: «È documentale - si legge ancora nell’esposto - che si sia operato un arresto in palese difetto dei presupposti di legge che avrebbero consentito tale misura, il ché impone di verificare ed accertare le singole responsabilità di ciascuno dei soggetti coinvolti nella vicenda». A seguito dell’arresto, l’uomo è stato condotto nel carcere di Busto Arsizio, per essere scarcerato il giorno successivo a seguito di un provvedimento urgente emesso dalla procura generale di Catanzaro che certificava il cortocircuito.
«Se non si comprende (perché manca) la ragione dell’arresto – prosegue Calderazzo – di certo la vicenda è attraversata da una inquietudine di fondo chiaramente originata dalla disinvoltura con la quale si maneggia quel delicatissimo potere, ancorché provvisorio, di limitare un diritto inviolabile: la libertà personale. E non si tratta semplicemente di incompetenza, intesa come mancanza di organizzazione, struttura, professionalità e mentalità, ma di incoscienza dei limiti di quel potere. Se nel dubbio meglio arrestarlo, sarebbe riduttivo individuare il cuore del problema nella incapacità di svolgere quel compito, più utile evidenziare l’insensibilità come mancanza di percezione delle distorsioni sul piano della stessa democrazia».
A ciò si aggiunge il fatto che nessuno abbia aggiornato la Banca dati interforze, compito, ha dichiarato la direzione centrale della Polizia criminale presso il dipartimento che gestisce la banca dati, che sarebbe “di esclusiva competenza dell’ufficio di polizia che ha a suo tempo iscritto la prima segnalazione”. «Ora, a prescindere dall’opinabilità dell’assunto - dal momento che la giurisprudenza di legittimità individua proprio nell’autorità amministrativa il soggetto incaricato ad aggiornare il dato contenuto nella banca dati con quello proveniente dall’autorità giudiziaria – ciò che è evidentemente rilevante non è “chi” deve intervenire - conclude Calderazzo -, ma “quando” perché questo fa tutta la differenza del mondo tra la libertà e il carcere. E il buon Giuseppe lo sa bene».