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Pierantonio Zanettin FI in occasione dell’esame della perseguibilità del reato di surrogazione di maternità GPA commesso all'estero da cittadino italiano. Senato a Roma Mercoledì 16 Ottobre 2024 (foto Mauro Scrobogna / LaPresse) Pierantonio Zanettin FDI on the occasion of the examination of the prosecution of the crime of surrogacy GPA committed abroad by an Italian citizen. Senate in Rome Wednesday October 15, 2024. (Photo by Mauro Scrobogna /m LaPresse)
Iniziate ieri in Commissione giustizia della Camera le audizioni in merito alla proposta di legge «Modifiche alla disciplina in materia di durata delle operazioni di intercettazione». La norma, a prima firma del senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin, è già stata approvata a Palazzo Madama lo scorso 9 ottobre, con i voti della maggioranza e di IV.
Al momento né il regime ordinario (267, comma 3, cpp durata massima delle operazioni di 15 giorni, prorogabili per periodi successivi di 15 giorni) né il regime speciale (reati di criminalità organizzata) delle intercettazioni prevedono un limite massimo di durata delle operazioni; limite che la proposta di legge in esame introduce, invece, in rapporto al solo regime ordinario. Si compone, infatti, di un solo articolo per cui «le intercettazioni non possono avere una durata complessiva superiore a 45 giorni, salvo che l’assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall’emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione». Come concordato in un vertice di maggioranza a via Arenula a fine ottobre, la disciplina non si applicherà ai reati di Codice Rosso, così come già avviene per i reati di mafia e terrorismo.
Il primo ad essere ascoltato il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia: «La norma ha degli aspetti di poca chiarezza rispetto alla proroghe che possono essere predisposte», ha spiegato il consigliere di Cassazione. E ha aggiunto: «Il disegno di legge vuole evitare ascolti improduttivi, ma è una prospettiva fuori asse. Il fatto che non emerga nulla non significa far venir meno l’assoluta indispensabilità sul piano logico delle captazioni. Anzi, può significare esattamente il contrario».
Per l’Anm intervenuto anche il pubblico ministero Enrico Infante: «Ci sono tantissimi reati per cui gli elementi di prova sono emersi ben dopo i 45 giorni, e sono emersi soltanto grazie alle intercettazioni. È incredibile che per l’omicidio non vi sia una deroga - perché la deroga è prevista per i reati di criminalità organizzata - ma non c’è la deroga per tutti i reati di quell’articolo 407, comma 2 lettera A - rapine aggravate, estorsioni aggravate, omicidi -. Banalmente, quante volte è successo che di fronte ad un omicidio la polizia giudiziaria e la Procura brancolassero nel buio e solo l’intercettazione non per 15 giorni, non per 30, ma per mesi del nucleo delle persone gravitanti sulla vittima abbia permesso dopo quattro mesi di intercettazione l’ipotesi di sciogliere il bandolo della matassa? Qui rischiamo di lasciare impuniti proprio reati così gravi. E non c’è solo l’omicidio, anche il sequestro di persona. Quante volte i sequestratori si sono messi in contatto con la famiglia della vittima ben dopo il 45esimo giorno?». Approvare la norma, per Infante, significherebbe «dire ai criminali incalliti, esperti, che conoscono l’ordinamento: “se sequestri una persona, per i primi 45 giorni non prendere contatto per il riscatto con la famiglia della vittima. Aspetta almeno il 46esimo giorno”».
Poi è toccato al Procuratore nazionale e antiterrorismo, Giovanni Melillo, per il quale «l’aspetto più difficilmente comprensibile del disegno legge è il disallineamento tra termini massimi per le indagini preliminari e i termini di intercettazione», ha osservato il responsabile di via Giulia, ricordando che di frequente le indagini per reati che non rientrano nella deroga sono «complesse» anche dal punto di vista tecnico, basti pensare al tempo che occorre per le traduzioni dal cinese, albanese, nigeriano che spesso necessitano più di 45 giorni. In un’epoca caratterizzata dalla «digitalizzazione - ha proseguito -, disciplinare i tempi delle attività di intercettazioni, che sono ormai quasi sempre telematiche, davvero si risolve in una incomprensibile compressione delle scelte investigative».
Inoltre «l’area protetta dall’impatto applicativo della norma è un’area troppo ristretta perché le indagini in materia di mafia e terrorismo si nutrono anche delle indagini su delitti che esorbitano dall’area derogatoria prevista e che sarebbe necessario allargare. La mia proposta è estendere l’area derogatoria almeno a tutti i delitti di cui all’articolo 407 comma 2 lettera A, non senza considerare che i delitti di cui alla lettera B presenterebbero spesso le stesse esigenze. Io credo che l’ampliamento dell’area derogatoria consenta di riconoscere dei margini di ragionevolezza dello sforzo, pure apprezzabile, di estendere la protezione dei diritti individuali. Altrimenti il sistema processuale e delle indagini vivrà contraddizioni e rischi di paralisi continua che non sembra davvero consono, razionalmente e ragionevolmente giustificarsi».
Intervenuto anche Pasquale Fimiani, avvocato generale presso la Corte di Cassazione: per quanto concerne gli elementi specifici e concreti si tratta di «una normativa che si presta a due opzioni interpretative e questo potrebbe avere delle ricadute sull’uniforme esercizio dell’azione penale».
Infine anche Gianluigi Gatta, professore di diritto penale presso l’Università degli Studi di Milano, ha sollevato delle criticità, pur riconoscendo che «la proposta di legge muove verosimilmente da nobili ragioni garantiste (non esplicitate peraltro nella relazione illustrativa)». In particolare, «la fissazione di un limite massimo di durata delle intercettazioni, ben inferiore rispetto al limite massimo di durata delle indagini preliminari, pone a mio avviso problemi dal punto di visto della coerenza del sistema e della ragionevolezza».
Per Gatta, che è stato consigliere speciale dell’ex ministra della Giustizia Marta Cartabia, «se la legge consente di compiere atti di indagine fino a due anni, in ragione della gravità del reato o della complessità delle indagini (v. art. 407 c.p.p.), sembra irragionevole limitare nell’arco di questi due anni a soli 45 giorni un mezzo di ricerca della prova come quello delle intercettazioni; tanto più che si tratta notoriamente, in presenza di indagini complesse, di uno dei più efficaci messi di ricerca della prova. È come dire a uno scienziato che sta compiendo una complessa ricerca per individuare una possibile e grave malattia: puoi farlo per due anni, ma puoi usare il microscopio solo per un mese e mezzo».