È al punto di non ritorno, la dialettica fra Anm e politica. Il rapporto fra i poteri dello Stato rischia di essere messo in forte tensione dalla scelta delle toghe: lasciare le cerimonie dell’Anno giudiziario, in programma sabato nelle Corti d’appello, quando prenderanno la parola il guardasigilli Carlo Nordio (a Napoli) e gli altri rappresentanti del governo (nei rimanenti 25 distretti).

Il conflitto fra maggioranza e magistratura sulla separazione delle carriere è irreversibile. Dimostra di comprenderlo bene, con la nota diffusa oggi, la massima rappresentanza degli avvocati, il Consiglio nazionale forense, che richiama il sindacato delle toghe al «rispetto» dei comuni «valori costituzionali».

È chiaro che la lettura proposta dall’Anm secondo cui la riforma Nordio sarebbe un attacco alla democrazia e ai valori della Costituzione è un’implicita pretesa di marginalità dell’avvocatura nel processo penale. La posizione della magistratura associata rimanda infatti all’idea secondo cui pm e difensore non devono essere messi sullo stesso piano rispetto al giudice. E non è un caso che il Cnf chiuda la propria nota con un preciso passaggio proprio sul rapporto fra difesa e accusa: “L’avvocatura” difende e difenderà “il principio ineludibile e irrinunciabile di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e, all’interno del processo, delle parti di fronte al giudice”.

Ecco, il quadro ora è chiaro. Sabato si va alle inaugurazioni dell’anno giudiziario nelle 26 Corti d’appello (dopo la cerimonia in Cassazione) con un gesto di sfida dell’Associazione magistrati nei confronti di Nordio (e dell’intero governo), e in un clima in cui anche la comunità forense si schiera. Non in termini politici, ma appunto di richiamo al rispetto fra le istituzioni. 

Il comunicato del Cnf esordisce così: “Il Consiglio Nazionale Forense prende atto della decisione dell’Associazione Nazionale Magistrati di voler abbandonare l’aula prima dell’intervento del Ministro della Giustizia e dei suoi rappresentanti in occasione delle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario. La protesta, volutamente organizzata con una manifestazione plateale e diffusa, rispetto a scelte sulle quali”, ricorda il Cnf, “dovrà pronunciarsi il Parlamento, nel pieno rispetto del principio di sovranità, e su cui poi i cittadini italiani saranno chiamati a pronunciarsi con referendum, non può far rimanere silenti. Il Consiglio Nazionale Forense intende richiamare al rispetto di quegli stessi valori costituzionali che formano condivisione, e non contrapposizione, con la magistratura, e specificamente il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, che è caposaldo anche dei principi di autonomia e indipendenza della magistratura”.

Come a dire che la potestà legislativa attribuita dalla Costituzione al Parlamento vale nei confronti di tutti i cittadini dello Stato magistrati compresi. Quindi la conclusione della nota: “L’avvocatura rispetterà i principi costituzionali, quale che sia la decisione che il Parlamento e i cittadini intenderanno assumere, perché appartiene al suo ruolo, alla sua tradizione e alla sua più profonda convinzione difendere tali valori e”, appunto “il principio ineludibile e irrinunciabile di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e, all’interno del processo, delle parti di fronte al giudice. Si confida che la magistratura voglia tornare al dialogo costruttivo, abbandonando posizioni non in linea con il rispetto dovuto a tutte le istituzioni della Repubblica, anche nelle loro articolazioni formali nei distretti delle Corti d’Appello”.

L’avvocatura accetta la sovranità del Parlamento. Le correnti dell’Anm la mettono in discussione, o quanto meno la considerano così poco rispettabile da stabilire che in tutte le Corti d’appello i magistrati debbano snobbare i delegati dell’Esecutivo, e quindi della maggioranza parlamentare che quell’Esecutivo sostiene. Un punto di tensione molto rischioso. Il presidente del Cnf Francesco Greco fa notare alcuni dei paradossi che incrinano la linea dell’Anm: «Intanto l’idea di principi di democrazia messi sotto attacco da parte del legislatore davvero è incomprensibile. Nella nostra Carta le possibilità di modificarla sono regolate da meccanismi rigorosi, che evidentemente sono rispettati anche nel caso della riforma sulle carriere separate: la doppia lettura a maggioranza qualificata e l’eventuale referendum nel caso in cui quel tipo di maggioranza non sia raggiunta. Poi davvero non si capisce in che modo possa essere messa a rischio l’indipendenza e l’autonomia dei magistrati se nella gran parte dei Paesi europei la separazione delle carriere c’è già: in Francia, Spagna, Portogallo, in Germania e Svizzera dove il pm è sottoposto all’Esecutivo. In Inghilterra la magistratura dell’accusa semplicemente non c’è, perché le indagini le fa Scotland Yard, eppure la giustizia funziona».

Il presidente del Cnf spiega anche «l’opportunità che l’avvocatura richiami al rispetto delle istituzioni, a fronte di un atteggiamento dell’Anm che, francamente, sembra orientato solo allo scontro. Può darsi vi sia il timore che, sull’onda di un’affievolita fiducia nei confronti della magistratura, il referendum, non subordinato al quorum, possa effettivamente convalidare la separazione delle carriere. Ma questo non giustifica che il rispetto per le altre istituzioni venga meno».

Domani, nella cerimonia in Cassazione, i magistrati non oseranno andarsene, quando prenderà la parola Nordio invece lo faranno. Sulla necessità di evitare gesti clamorosi quanto meno nell’inaugurazione presso la Suprema corte, che oltretutto si svolge alla presenza del Capo dello Stato, gli stessi Uffici del Quirinale si erano confrontati col presidente Anm Giuseppe Santalucia.

C’è un precedente che riguarda proprio l’avvocatura: nel febbraio 2020, a Milano, furono i rappresentanti del Foro ad abbandonare la cerimonia in Corte d’appello al momento in cui prese la parola Piercamillo Davigo. Un caso sgradevole. All’ex pm di Mani pulite, gli avvocati contestarono tra l’altro di aver difeso la prescrizione di Bonafede come antidoto ai «ricorsi pretestuosi» della difesa. Lasciarono l’aula magna Costituzione in mano e toga indosso.

Ora i magistrati faranno la stessa cosa dappertutto, così ha stabilito l’Anm, che ha assunto la decisione nel proprio “parlamentino” di sabato scorso: toga, Costituzione e abbandono dell’aula. La proposta è partita da Magistratura democratica, la corrente più “di sinistra”. Non era l’impostazione prevalente, lo è diventata anche per ragioni elettorali interne: se domani l’Associazione magistrati metterà in scena la protesta contro la separazione delle carriere, nei tre giorni successivi chiamerà i propri iscritti a votare per il rinnovo del “parlamentino”, cioè il Comitato direttivo centrale. È evidente che una protesta così estrema risponde anche a logiche di consenso: nessuna delle altre correnti voleva lasciare alla sola Md il merito di aver proposto la linea più intransigente.

E poi c’è la sfida agli avvocati: i quali sono in ogni caso coinvolti, come detto, nei destini della riforma sulle carriere, dalla quale acquisirebbero una più esplicita pari dignità, rispetto ai pm, davanti al giudice. Era dunque inevitabile che il Cnf replicasse all’Anm. E chiarisse una volta per tutte quali sono i valori a cui l’avvocatura guarda.