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«Cari nonni, purtroppo ci sono stati dei problemi e questa estate non abbiamo avuto la possibilità di salutarci. Volevo ringraziarvi con tutta me stessa del bene che mi avete dato e di avermi dato la possibilità di stare in un’aria più bella. Mi scuso un sacco di quello che ho fatto io a voi, però comunque siete una parte di me e vi ho sempre amato anche tra i nostri conflitti, siete state le uniche persone con cui cammino ad occhi chiusi in tutta la mia vita. Vi amo e spero di riuscire a trovarvi ancora. Vi ringrazio di essermi stati sempre accanto ed è un gesto che non dimenticherò mai. K. e il mio cuore». Sono queste le parole scritte da K., una dei bambini di Bibbiano, ai genitori delle sue affidatarie, coinvolte nel blitz del 2019 “Angeli e Demoni”. Una lettera che la bambina aveva lasciato sulla soglia della loro casa, dove si era recata di notte, scappando dalla comunità. La lettera - preceduta dalla scritta «Per i nonni, vi amo» - è stata depositata questa mattina dalla difesa delle due affidatarie, rappresentata dagli avvocati Andrea Stefani e Valentina Oleari Cappuccio, che hanno ricostruito in aula con i testi i momenti successivi al blitz, con l’allontanamento di K. dalle due affidatarie e l’arrivo in comunità.
La prima a parlare è stata un’assistente sociale del servizio sociale di Reggio Emilia, Loredana Soldivieri, che ha seguito la bambina dopo gli arresti. La testimonianza ha confermato quanto era stato contestato dalle difese al padre di K., che in aula aveva negato alcune circostanze, come quello di aver detto alla figlia di essere a conoscenza delle indagini mentre erano ancora in corso, della presenza di cimici e di una «bomba» che a breve sarebbe scoppiata. Soldivieri ha però confermato in aula di aver ricevuto quelle informazioni dal padre di K.. La mattina del blitz, Soldivieri, contattata dai carabinieri per un intervento urgente legato a un’indagine, si era presentata insieme ad una collega educatrice a casa delle affidatarie alle 6.30, in presenza di diversi carabinieri in borghese. Una delle affidatarie ha cercato di tranquillizzare la bambina, dicendole che andava tutto bene e di non preoccuparsi. La bambina è dunque stata accompagnata in comunità. Per i primi due mesi K. aveva inteso la nuova sistemazione come un periodo di passaggio. Ma dopo il trasferimento in una nuova comunità la bambina ha compreso di essere stata allontanata anche dalla famiglia affidataria. Una consapevolezza che ha mutato il suo stato d’animo, rendendola più aggressiva e insofferente nei confronti degli altri ragazzi e degli educatori, arrivando anche allo scontro fisico con loro.
La difesa ha anche depositato i fogli che una delle affidatarie aveva consegnato alla comunità, l’elenco delle cose «a cui K. tiene». Un lungo elenco di persone alle quali la bambina teneva, con le quali garantire «continuità affettiva», i medici di riferimento, gli amici più stretti e poi gioielli, libri, giochi e perfino la sua federa per il cuscino preferita, oltre alla «scatola blu con dentro i pensieri felici», un peluche a forma di unicorno regalatole dal padre e il cuscino con la foto dei genitori. Ma non solo: l’affidataria aveva anche consegnato l’elenco delle «cose che piacciono a K.». «La sera - inizia così l’elenco - K. desidera un pensiero felice per addormentarsi, non dorme se non ha una lucina accesa (se è in stanza da sola), se ha paura è abituata a sentirsi dire che è al sicuro e che non le può succedere nulla di brutto. Quando è triste o pensierosa è abituata a trasformare i pensieri tristi in pensieri felici ma le piace quando glielo si ricorda». Un gesto delle affidatarie per evitare uno sradicamento traumatico.
Le affidatarie avevano presentato un’istanza indirizzata al giudice per le indagini preliminari per chiedere se fosse possibile svolgere incontri protetti con la bambina per assicurarle un minimo di continuità affettiva. La difesa aveva quindi chiesto a Soldivieri e al tutore Giovanna Bedocchi di esprimere un parere. «Le nostre assistite vivono con profonda angoscia l’allontanamento della minore - scrivevano i legali nella richiesta al gip - in particolare per le difficoltà che la minore potrebbe incontrare nel comprendere le ragioni dell’improvviso allontanamento dal nucleo affidatario; tali preoccupazioni si sommano al dolore per l’interruzione forzata dell’intenso legame affettivo che si era creato ed era stato coltivato tra le affidatarie e la minore nel corso degli ultimi tre anni». Da qui la proposta di effettuare incontri «in forma protetta ed alla presenza degli operatori del servizio sociale affidatario», cosa che «non potrebbe recare pregiudizio alcuno alle esigenze cautelari che sono la ragione della misura cautelare in atto». Bedocchi, in aula, ha dichiarato che in quanto psicologa aveva ritenuto opportuno dare un parere favorevole. Il gip ha però chiesto un parere alla pm Valentina Salvi: i carabinieri delegati alle indagini hanno dunque convocato Soldivieri e Bedocchi facendo ascoltare gli audio divenuti tristemente famosi, spezzoni isolati, tra centinaia di intercettazioni dalla connotazione positiva, nei quali si sentono le affidatarie urlare. Soldivieri e Bedocchi hanno dunque cambiato parere, «per non rischiare una riattivazione di esperienze traumatiche a noi non note». Ciò nonostante non ci fossero accuse di maltrattamenti fisici. Soldivieri, in aula, ha detto di non essere a conoscenza, all’epoca, delle accuse mosse alle affidatarie. «Eppure - ha commentato l’avvocato Stefani - gli incontri protetti sono garantiti anche nei casi in cui i genitori sono accusati di violenza sessuale e maltrattamenti gravissimi».
Dopo il rientro in famiglia K. ha rischiato più volte di essere riaffidata ai servizi, come confermato in aula da Soldivieri. A maggio del 2020 era stata ricollocata presso il padre, manifestando un conflitto ingestibile con la madre, con la quale rifiutava gli incontri. Dopodiché cominciarono a sorgere problemi a scuola, anche perché i genitori dimenticarono di iscriverla e non avevano nemmeno le credenziali per i registri scolastici. Nelle relazioni dei servizi, inoltre, emergeva il forte conflitto tra i genitori, più volte richiamati a fare attenzione alla salute psico emotiva della bambina, che era «non vista», come scriveva Soldivieri. Tant’è che i genitori, ad un certo punto, dichiararono entrambi di non sapere dove tenerla.
Infine, è stata ascoltata la testimonianza di uno psicoterapeuta che aveva seguito una delle affidatarie, durante un periodo di difficoltà nel 2017. Il terapeuta ha confermato che, nonostante K. mostrasse segnali di difficoltà emotiva e di attaccamento insicuro, l’affidataria stava cercando di gestire la situazione in modo consapevole e affettuoso, applicando una modalità di maternage con l’indicazione di limiti e regole. Il terapeuta ha escluso la possibilità di diagnosticare, senza aver mai visto la bambina, un disturbo dell’attaccamento disorganizzato, ma ha rilevato che la bambina mostrava segni di fragilità emotiva, spesso mettendo in discussione le relazioni affettive, un comportamento che indicava insicurezza nell'attaccamento. Fragilità che era trattata con attenzione e competenza dall’affidataria. L’attaccamento insicuro, ha poi sottolineato lo psicoterapeuta su domanda dell’avvocato Francesca Guazzi, insorge nei primissimi anni di età, nella relazione con gli adulti accudenti, nei primi tre - quattro anni di vita. Quindi ben prima dell’affido alle due donne.
Il processo si avvia rapidamente alla conclusione: sei i testi delle difese che verranno ascoltati entro fine anno, poi, a gennaio, toccherà ai consulenti tecnici. Un’accelerazione pazzesca impressa dalle stesse difese, che hanno tagliato l’elenco testi convinte che i risultati ottenuti dalla pubblica accusa durante l’istruttoria siano tali da non poter portare al raggiungimento di una prova di colpevolezza.