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Associated Press/LaPresse
Lo Stato d’Israele si difende (attaccando) sul campo di battaglia e davanti alla Corte penale internazionale. Dopo la richiesta di mandato d’arresto dello scorso maggio, firmata dal procuratore Karim Khan, nei confronti del premier Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa, Yoav Gallant, Israele ha presentato, tramite il Procuratore generale aggiunto, Gilad Noam, le proprie osservazioni contenute in due memorie.
Negli scritti difensivi di 22 e 44 pagine, resi pubblici ieri, si evidenziano diverse questioni procedurali e, soprattutto, sostanziali. In quest’ultimo caso i rilievi ruotano in prevalenza sul difetto di giurisdizione della Corte penale internazionale in base a quanto stabilito dallo Statuto di Roma, che ha istituito il Tribunale con sede in Olanda, all’Aia. Israele contesta la mancanza di giurisdizione della Cpi, in quanto «la Palestina non soddisfa la precondizione giurisdizionale del "territorio" di uno Stato».
Nello scritto difensivo sulla giurisdizione della Cpi si insiste sullo status giuridico del territorio palestinese. «L’assenza di territorio palestinese sovrano – osserva il Procuratore Noam - significa che non esiste alcun “territorio di uno Stato”, ai sensi dell’articolo 12(2)(a) (dello Statuto di Roma, ndr) su cui la Corte possa esercitare la propria giurisdizione. Determinare diversamente implica una pronuncia giudiziaria sulla sovranità sul territorio, rispetto al quale vi sono rivendicazioni legali concorrenti. Qualsiasi delimitazione da parte della Corte del territorio interessato implicherebbe l’agire in violazione di accordi israelo-palestinesi vincolanti, che lasciano espressamente tali questioni alla negoziazione diretta tra le Parti, e che si prendano decisioni del tutto inadatte a un Tribunale penale internazionale».
In merito alla presenza di un non-Stato palestinese, Israele argomenta dedicando molte pagine. Il richiamo all’articolo 12 dello Statuto di Roma, «sull’esistenza della sovranità territoriale ai sensi del diritto internazionale pubblico», è ricorrente. Nel paragrafo 71 si evidenzia che «sebbene il termine “Stato” non sia definito nello Statuto di Roma, il suo significato comunemente accettato e riconosciuto nel diritto internazionale generale è Stato sovrano». In mancanza di tale requisito, richiedere l’intervento della Cpi è impresa ardua, per non dire impossibile.
«L'atto di delegare la giurisdizione penale alla Corte – afferma lo Stato d’Israele - è di per sé un “esercizio della sovranità nazionale”, e la Procura ha riconosciuto in passato che la giurisdizione della Corte deriva dall’esistenza di una “capacità sovrana di perseguire”». Di qui, come si legge nel paragrafo 80, la considerazione che «ogni resoconto fattuale e legale appropriato dimostra che non c’è mai stato uno Stato palestinese sovrano. L’ultimo sovrano riconosciuto del territorio in questione è stato l’Impero Ottomano, che ha formalmente rinunciato ai suoi diritti e titoli nel Trattato di Losanna del 1923».
Nelle conclusioni, il Procuratore generale israeliano Noam sottolinea che «Israele è consapevole dei propri obblighi legali ed è profondamente impegnato a prevenire e punire qualsiasi violazione del diritto internazionale umanitario e penale internazionale». «In ogni caso – aggiunge -, le preoccupazioni in merito a una potenziale lacuna nella giurisdizione della Corte non possono essere utilizzate come giustificazione per estendere l’ambito della giurisdizione della Corte penale internazionale oltre i suoi limiti legali». In difetto di giurisdizione, dunque, la richiesta d’arresto per Netanyahu e Gallant deve essere respinta.
Giuseppe Paccione, professore a contratto di Diritto internazionale umanitario dell’Università “N. Cusano”, riflette su alcuni meccanismi che regolano l’intervento dell’Aia. «La Camera preliminare – dice Paccione - può emettere un mandato di cattura contro il premier israeliano e il suo ministro delle Difesa solo se ritiene che vi siano ragionevoli motivi per considerare che gli individui abbiano commesso un crimine che compete alla Cpi perseguire e che l’arresto sia necessario per frenare la condotta criminale di competenza della stessa Corte. Per il Procuratore Karim Khan non vi è dubbio che Netanyahu e Gallant siano responsabili di aver usato una deliberata politica statale, affamando la popolazione civile per colpire Hamas e per ottenere il ritorno a casa degli ostaggi israeliani. Secondo Israele, invece, il Procuratore della Corte penale internazionale ha agito prematuramente perché non ha notificato gli atti a tutti gli Stati parte dello Statuto di Roma. Altro aspetto della vicenda concerne il fatto che la sovranità sulla Striscia di Gaza e della Cisgiordania resta in sospeso e, pertanto, non esiste alcun territorio su cui la Corte penale internazionale possa esercitare la propria giurisdizione. Si supponga che, secondo la posizione israeliana, un’entità non sovrana accetti la giurisdizione della Cpi, la sua portata deve essere valutata riferendosi alla giurisdizione effettivamente posseduta dall’entità».
Paccione ricorda pure quanto stabilito dagli Accordi di Oslo oltre trent’anni fa: «Gli Accordi di Oslo evidenziano che l’Autorità palestinese non ha giurisdizione penale e non può delegarla alla Cpi. Secondo Israele, pur di mettere una pezza rispetto alla mancanza di giurisdizione totale palestinese, il Procuratore Karim Khan ha cercato di affidarsi al principio di autodeterminazione, che, per le autorità di Tel Aviv, in mancanza di sovranità territoriale, non può conferire la giurisdizione già in precedenza riconosciuta come inesistente».
Il Procuratore Gilad Noam è intervenuto con un post su X, rilevando la posizione di Israele davanti alla Corte penale internazionale. «Insistiamo – ha scritto – nel ribadire che il Tribunale non ha giurisdizione e che il ricorrente ha sostanzialmente violato il principio di complementarità. Invito tutti coloro che hanno a cuore la giustizia internazionale e lo Stato di diritto a rivedere le nostre proposte».