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«Mi auguro che il Parlamento, in sede di approvazione del ddl a firma Varchi sulla maternità surrogata, voglia prevedere una norma che specifichi il diritto del minore e vedersi riconosciuto il rapporto con il genitore biologico, onde evitare che una situazione del genere abbia a ripetersi». Il monito arriva dall’avvocato Giorgio Muccio, legale della coppia che oggi ha ottenuto una prima vittoria a Strasburgo dopo una lunga e tortuosa battaglia giudiziaria.
La Corte europea dei diritti umani ha infatti condannato l’Italia per il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione tra il padre biologico e una bambina nata nel 2019 in Ucraina tramite gestazione per altri, con l’impianto di un embrione proveniente da una donatrice anonima. Il no del Comune, e poi del tribunale, alla trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero ha reso di fatto la piccola un’apolide. Priva di una parentela legalmente accertata, giuridicamente inesistente.
La bimba, che ora ha quattro anni, «è stata tenuta fin dalla nascita in uno stato di prolungata incertezza sulla sua identità personale», sottolineano i giudici di Strasburgo. I quali ritengono che i tribunali italiani «non siano stati in grado di prendere una decisione rapida a tutela della ricorrente». La Corte ha quindi stabilito che «le autorità italiane sono venute meno al loro obbligo positivo di garantire il diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata» e familiare sancito dall’articolo 8 della Convenzione. E ha condannato l’Italia a pagare 15mila euro di danni e 9.536 euro per le spese legali.
Allo stesso tempo, la Corte ha stabilito che non sussiste la medesima violazione per quanto riguarda il riconoscimento della madre intenzionale, moglie dell’uomo che ha donato il seme, che ora potrà ricorrere all’istituto dell’adozione in casi particolari. Una via, questa, indicata anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza dello scorso dicembre, che però prevede tempi lunghi ed esiti incerti. «Sono personalmente soddisfatto di aver finalmente sbloccato la situazione in cui la bambina si è trovata, nonché fiducioso che il Tribunale dei Minori di Venezia disporrà l'adozione della madre in tempi brevi», spiega il legale. Il quale si augura che il Parlamento, dal quale potrebbe arrivare prossimamente il via libera sul “reato universale” dopo il sì alla Camera, voglia preveda anche ulteriori ipotesi di adozione in casi particolari rispetto a quelle attualmente vigenti, in quanto i ritardi dei Tribunale dei Minori dipendono prevalentemente da norme in materia che non sono applicabili al caso dei nati da Gpa.
Nel caso in esame il documento formato all’estero riportava i nomi di entrambi i genitori. Ma al rientro in Italia, l’ufficiale di stato civile ne ha rifiutato la trascrizione, ritenendola contraria all’ordine pubblico. L’appiglio è offerto da una sentenza della Cassazione del 2019, che fa riferimento alla trascrizione del genitore intenzionale. La coppia ha quindi fatto ricorso al tribunale di Vicenza, che ha rigettato la richiesta relativa al riconoscimento di entrambi i genitori.
Ma la speranza di ottenere i diritti richiesti è naufragata definitivamente in appello, quando il giudice ha confermato la decisione di primo grado e ha dichiarato inammissibile anche la subordinata richiesta di trascrizione del solo padre biologico, per una pura questione formale. Secondo la Corte la domanda specifica si poneva in contrasto con il documento inviato dall’ambasciata straniera, che di prassi non pone un vincolo: normalmente è l’ufficiale italiano a decidere se trascrivere entrambi i genitori o soltanto quello biologico, e la richiesta è semmai da sottoporre al giudice. In ogni caso, come ricorda la Cedu, «il processo decisionale deve essere sufficientemente incentrato sull’interesse superiore del bambino e, in questo senso, esente da eccessivi formalismi e capace di realizzare tale interesse indipendentemente da eventuali vizi procedurali».