Il dibattito sulla corretta interpretazione dell’articolo 342 c.p.c. riformato con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134, ritorna al centro dell’attenzione nelle aule di piazza Cavour.

Con l’ordinanza n. 1932/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul contenuto necessario dell’atto di appello ai fini della sua ammissibilità, sottolineando l’importanza della chiarezza nelle impugnazioni e ribadendo la necessità che le stesse contengano una chiara individuazione delle questioni contestate, in conformità con le disposizioni del codice di procedura civile.

La vicenda
Nel caso specifico, il Tribunale di Salerno aveva dichiarato inammissibile l’appello presentato dall’Agenzia delle Entrate Riscossione (ADER) contro la sentenza del Giudice di pace di Salerno, che aveva accolto l’opposizione avverso un estratto di ruolo, dichiarando la prescrizione dei crediti correlati.

Il Tribunale aveva motivato la sua decisione affermando che l’impugnazione non era conforme al dettato dell'art. 342 c.p.c., sostenendo che la parte appellante non aveva chiaramente identificato le parti del provvedimento da impugnare, né indicato in modo inequivocabile le modifiche richieste alla ricostruzione del fatto, e non aveva precisato come doveva essere modulato il nuovo dispositivo di sentenza.
L’Ente di riscossione ha impugnato questa decisione in Cassazione, sostenendo che l’atto di appello era stato correttamente redatto, indicando chiaramente le parti contestate e illustrando i motivi dell’impugnazione.

La decisione della Cassazione

I giudici di ultima istanza si sono pronunciati a favore di ADER, ribadendo che l’art. 342 c.p.c. richiede che l’impugnazione “deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello che mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata”.
In conclusione, la Suprema Corte ha ritenuto che il Tribunale, nel caso in esame, non ha applicato correttamente tali principi, fondando l’inammissibilità dell’appello su motivi che erano stati adeguatamente affrontati nella documentazione presentata dall’Ente pubblico economico.