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IMAGOECONOMICA
Nessuna ispezione, nessuna indagine da parte dei commissari europei per verificare le condizioni in cui versa lo Stato di diritto in Italia. La smentita è arrivata puntuale nella tarda mattinata da Palazzo Chigi, dopo la pubblicazione su Repubblica di un articolo che annunciava l’arrivo a Roma dei severi funzionari di Bruxelles, pronti a bacchettare l’Italia su una serie di riforme, semi-riforme e provvedimenti in materia di giustizia, assetto costituzionale e libertà di stampa.
Analoga smentita è giunta dall’Unione europea. «Non c'è alcuna delegazione in Italia», ha detto il portavoce dell'esecutivo Ue, Christian Wigand. «Nei dettagli delle discussioni – ha aggiunto - c'è un questionario generale e poi ci sono alcune domande più dettagliate, che vengono discusse in modo condiviso e che coprono i quattro pilastri del rapporto: i sistemi giudiziari nazionali, i quadri anticorruzione, il pluralismo dei media e altri pesi e contrappesi istituzionali».
Al posto dell’ispezione, in verità, si è tenuta una breve riunione a livello tecnico in videoconferenza. Un evento programmato da tempo, che si svolge ogni anno, a partire dal 2020, e che coinvolge tutti gli Stati membri dell’Unione europea senza distinzione. Al centro degli approfondimenti le questioni legate alla giustizia, alla lotta alla corruzione, alla libertà dei media e all'equilibrio tra i poteri. Insomma, come hanno rilevato fonti governative, i colloqui costituiscono normali attività di confronto tra Bruxelles e le capitali degli Stati dell’Ue, Roma compresa. Una interlocuzione che si sviluppa all’insegna della massima collaborazione fra l'Italia e la Commissione europea, in un clima positivo e costruttivo, per la redazione del rapporto 2024 che verrà pubblicato nei prossimi mesi e che conterrà 27 capitoli dedicati allo Stato di diritto in ciascuno dei Paesi dell’Ue. Sul sito della Commissione europea, nella pagina dedicata al “Rapporto 2024 sullo Stati di diritto”, si evidenziano le finalità dello studio.
L’allarme lanciato da Repubblica sulla libertà di stampa a rischio è smentito dal senatore Giulio Terzi (FdI), presidente della commissione Politiche dell’Unione europea. «La maggioranza della commissione che presiedo – commenta - ha difeso dagli emendamenti dell’opposizione, e dai suoi strumentali attacchi, un articolo che altro non è che una legge di civiltà. L’accusa di imporre museruole alla stampa è infondata, non vi è nessun bavaglio ma soltanto una norma di equilibrio tra il diritto di informare ed il diritto alla difesa e alla dignità del cittadino, in piena continuità con la direttiva europea sulla presunzione di innocenza. Il diritto di cronaca non viene minimamente scalfito, in quanto i giornalisti possono comunque disporre del testo dell’ordinanza cautelare.
Vi è soltanto il divieto di pubblicarne il contenuto integrale per intero o per estratto. Occorre tenere ben separato il processo giuridico da quello mediatico. L’articolo 4 mira ad evitare che possano essere riportati passaggi anche privi di rilevanza penale che potrebbero pregiudicare la rispettabilità e l’onorabilità dell’indagato, che, fino al giudizio, è innocente».
L’ultimo rapporto sullo Stato di diritto risale al 5 luglio 2023. Ma, al netto del sensazionalismo che si è voluto creare con la notizia, smentita, dell’ispezione comunitaria, come vanno le cose in alcuni ambiti che plasmano in Italia il «fondamento dell'identità dell'Ue» e il «fattore centrale per la stabilità politica e la prosperità economica dell'Europa»? L’Unione europea dedica attenzione alla giurisdizione, all’interno della quale operano gli avvocati.
Non sono mancati negli ultimi mesi – il Dubbio lo ha documentato con puntualità – episodi di attacchi alle toghe. L’ultimo, in ordine di tempo, uno dei più eclatanti, ha riguardato il difensore di Filippo Turetta, l’assassino di Giulia Cecchettin. Il suo avvocato, Giovanni Caruso, è stato sottoposto ad una pressione dell’opinione pubblica affinché rinunciasse alla difesa. È stata pure tirata in ballo l’Università di Padova dove l’avvocato insegna diritto penale. L’idea di fondo, estromettendo del tutto i principii costituzionali, è che ci siano dei soggetti ai quali il diritto di difesa non deve essere riconosciuto.
«Una crociata indegna» contro Caruso, per usare le parole di Giovanni Liut, studente di giurisprudenza dell’Università patavina, che ha espresso le sue perplessità di fronte alla deriva forcaiola alla quale periodicamente assistiamo: «Per uno studente della facoltà di giurisprudenza, che ambisce a divenire in futuro un professionista serio e competente, ma prima ancora per chiunque aspiri ad essere un membro della società civile, negare a chiunque le tutele processuali costituzionalmente garantite è un abominio, in coerenza al fatto che nella quotidianità il diritto dovrebbe essere la bussola e la giustizia, la stella polare».
Non sono mancati neppure episodi che hanno interessato gli altri protagonisti della giurisdizione: i giudici. Nel Tribunale di Pescara, dopo la lettura della sentenza del processo per la valanga di Rigopiano che causò la morte di 29 persone, il gup Gianluca Sarandrea ha assolto 25 dei 30 imputati e inflitto altre cinque condanne lievi. Subito dopo la lettura della sentenza, la violenza verbale si è scatenata contro i giudici. I parenti e gli amici delle vittime hanno iniziato a lanciare minacce e a pronunciare parole molto offensive contro il giudice. Il magistrato è stato costretto a lasciare il Tribunale scortato dai carabinieri. Il caso del processo Rigopiano è emblematico perché ci fa riflettere sulla parola giustizia non necessariamente sinonimo di condanna.
Un altro significativo tema che consente di conoscere le condizioni in cui versa lo Stato di diritto è quello della corruzione. È diffusa l’idea che l’Italia sia un Paese di corrotti con faccendieri pronti a sfregarsi le mani pensando a vagonate di soldi pubblici per investimenti di vario genere. Eppure, c’è una distinzione tra corruzione percepita e corruzione reale. L’Eurispes da anni studia il fenomeno. In Italia, spiega l’istituto di ricerca, si verifica il “Paradosso di Trocadero”: più si perseguono i fenomeni corruttivi sul piano della prevenzione e le fattispecie di reato sul piano della repressione, maggiore e? la percezione del fenomeno. L’effetto distorsivo collegato a questo assunto ha concorso a penalizzare gli ordinamenti più attivi dal punto di vista della reazione alla corruzione in tutte le sue forme. Un approccio che genera facili allarmismi con la tendenza a descrivere l’Italia come l’Eden dei corrotti. Vedremo quali saranno anche su questo fronte i risultati della Relazione 2024 sullo Stato di diritto.