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IMAGOECONOMICA
La battaglia sui diritti si trasferisce all’ombra di Palazzo Chigi. E precisamente nel Comitato nazionale per la bioetica (Cnb), organo della Presidenza del consiglio dei ministri. Il suo ruolo è consultivo: il governo lo nomina e lo interpella sulle questioni più spinose che intrecciano il dibattito politico. E mai prima d’ora con una puntualità tale da “liquidare” questioni di particolare rilevanza. Come è successo con il caso di Alfredo Cospito nel 2023, quando al comitato si era rivolto il guardasigilli Carlo Nordio. E anche ora, con il suicidio assistito. Tant’è che il malumore espresso a più riprese dalla fronda “dissidente” interna al comitato si fa ad ogni snodo vera e propria insofferenza.
L’unità di misura la dà l’ultimo scontro che si è consumato sul tema del fine vita, che al momento impegna almeno un paio di tribunali e soprattutto la Corte Costituzionale. Il nodo riguarda l’interpretazione del “trattamento di sostegno vitale”, uno dei quattro requisiti per accedere al suicidio assistito stabiliti dalla stessa Consulta con la sentenza 242 del 2019 (Cappato/Dj Fabo). Prima di chiarire dove sta l’inghippo che tormenta l’etica e la giurisprudenza occorre prima mettere insieme le date e valutare il tempismo “sospetto” denunciato anche dall’Associazione Coscioni.
Questa settimana il Cnb ha pubblicato un parere che offre una interpretazione particolarmente “restrittiva” di cosa bisogna intendere per sostegno vitale, sbarrando potenzialmente la strada ad alcuni malati che vorrebbero intraprendere un percorso di fine vita in Italia ma che ne restano esclusi perché non dipendono da “macchinari”: questi, si legge nel documento del Cnb, devono «costituire una vera e propria sostituzione delle funzioni vitali», la cui sospensione «comporti la morte del paziente in tempi molto brevi». Il parere è stato richiesto il 3 novembre 2023 dal comitato etico territoriale dell’Umbria, gli organi locali direttamente coinvolti nei processi di valutazione attribuiti al servizio sanitario. Ed è stato approvato a larga maggioranza nella seduta plenaria del 20 giugno, dopo un lungo travaglio.
L’approdo unico a cui si puntava non è stato raggiunto. Al contrario: a fronte dei 24 voti favorevoli, in 4 hanno votato contro, altri 3 componenti non hanno partecipato al voto e uno si è astenuto. Una piccola ma convinta opposizione che ha deciso di produrre un parere di minoranza che va in direzione diametralmente opposta, mettendo al centro la volontà del malato: a firmarla sono 7 componenti, più 4 nomi che vi hanno aderito pur non avendo diritto al voto. Tra questi Lorenzo D’avack, oggi membro e già presidente del precedente Cnb, secondo il quale nell’attuale composizione «non c’è alcun pluralismo ed anche la possibilità di esprimere un’opinione di minoranza, come nel caso del parere sui Trattamenti di sostegno vitale, rappresenta un’eccezione faticosa». La visione laica che ha ispirato alcuni pareri sarebbe del tutto “schiacciata” da quella di orientamento cattolico. Con le dovute differenze, all’interno della stessa componente cattolica di oggi e di ieri.
Tanto è vero che il nuovo parere di minoranza non inventa nulla: si rifà a quello già espresso nel 2019, secondo il quale il sostegno vitale va considerato un requisito “eventuale”. Ciò che cambia, oggi, è il governo e il contesto. «Riteniamo che la pubblicazione di una riposta del Cnb su questo argomento nelle more di una nuova, imminente sentenza della Corte Costituzionale sul tema, sia inopportuna», si legge nel documento dei sette. E qui torniamo alla data, che dicevamo essere rilevante: appena un giorno prima della Plenaria, il 19 giugno, alla Consulta si era tenuta l’udienza sul caso di Massimiliano, malato di sclerosi multipla morto in Svizzera nel 2022. Una vicenda che riporta l’intera questione nelle mani dei giudici, chiamati nuovamente ad esprimersi sul suicidio assistito.
La gip di Firenze, infatti, ha chiesto il vaglio di costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio), così come modificato dalla sentenza 242, nella parte in cui subordina la non punibilità dei soggetti coinvolti al requisito del sostegno vitale. Che secondo una certa lettura, tra cui quella della minoranza del Cnb, rischia di risultare «discriminatorio». Lo stesso copione si è ripetuto a Milano, dove la gip ha sollevato la questione di legittimità. Entrambi i procedimenti coinvolgono Marco Cappato, che rischia dai 5 ai 12 anni di carcere per l’aiuto fornito. Secondo il collegio difensivo per “sostegno vitale” bisogna intendere anche l’assistenza costante, senza la quale alcuni malati non potrebbero sopravvivere. Per l’Avvocatura dello Stato, e dunque per il governo, è il contrario: oppure si finirà per liberalizzare il diritto a morire. O per ampliare la «platea dei possibili aspiranti suicidi», come si legge nel parere della maggioranza, che mette in evidenza la «necessità etica di tutelare la vita e la salute dei soggetti più deboli e vulnerabili».
Visioni opposte, insomma, che si riflettono dal campo etico alla politica. E viceversa. Il tutto nel silenzio del legislatore sul tema, al quale dovrà supplire la Consulta dopo l’invito del 2019 rimasto inascoltato. La sentenza che (forse) metterà un punto alla questione è attesa a giorni. Intanto, il Cnb lavora all’altro tema caro alla maggioranza: la maternità surrogata.