L’Europarlamento chiude gli occhi sulla possibile violazione dell’immunità parlamentare dei deputati coinvolti nello scandalo Qatargate. E a cinque mesi dalla richiesta dell’ex vicepresidente Eva Kaili di fare chiarezza sui possibili abusi compiuti dall’autorità giudiziaria belga, arrivata - come svelato dal Dubbio - a introdurre uomini della polizia in borghese nell’Eurocamera, la Commissione Juri rimane immobile, in attesa, forse, di passare la palla ai membri della prossima legislatura.

A testimoniare il clima di tensione, reso ancora più pesante dalle rivelazioni delle ultime ore, è la lettera di sollecito inviata dai legali di Kaili alla Commissione presieduta da Adrián Vázquez Lázara, nella quale l’ex vicepresidente ha sollecitato l’analisi del suo ricorso, presentato a giugno scorso per denunciare la violazione della sua immunità parlamentare, «essendo stata monitorata dai servizi segreti durante il periodo in cui ha partecipato alla commissione Pegasus, che stava indagando istituzionalmente sull’esistenza di software illegali che monitoravano le attività di eurodeputati e dei cittadini dell’Unione europea».

Ovvero, prima ancora che venisse avanzata qualsiasi richiesta di autorizzazione all’Europarlamento e, dunque, in piena violazione dei Trattati. Kaili non è stata mai convocata per essere ascoltata «e l’avvicinarsi delle elezioni costituisce una flagrante violazione dei principi fondamentali del diritto dell’Ue relativi all’immunità parlamentare dell’Ue e alla democrazia dell’Ue», si legge nella lettera, che il Dubbio ha avuto modo di visionare. «La esortiamo, in qualità di capo della Commissione Juri, a convocare un'audizione nella prima settimana di lavori prima della fine dell'anno in corso - scrivono gli avvocati Gonzalo Boye, Christophe Marchand e Sven Mary -. In caso contrario, bisognerà ricorrere urgentemente alle competenti autorità giudiziarie sulla questione, anche per sollevare responsabilità personali di organi delle istituzioni dell'Ue in flagrante violazione del diritto comunitario».

Kaili, il 27 giugno, aveva informato la Corte d’Appello di Bruxelles della richiesta avanzata all’Europarlamento, di fatto “provocando” una sospensione del procedimento giudiziario: il 19 settembre scorso, infatti, la Corte ha deciso di rimandare le udienze a marzo 2024, in ossequio al «principio di leale cooperazione tra le istituzioni dell’Unione europea». Ciò per consentire alla Commissione prima e al Parlamento poi di pronunciarsi sulla questione, che potrebbe, presto, riguardare anche altri deputati, data l’ormai assodata intenzione della procura belga di chiedere la revoca dell’immunità per altri deputati, tra i quali la belga Maria Arena, il cui nome è comparso diverse volte negli atti d’indagine. Ad oggi, però, non è stata adottata alcuna decisione dalla Commissione e Kaili non è stata chiamata a presentare prove o argomentazioni in difesa della sua immunità. L’ex vicepresidente ha comunque inviato ai colleghi diversi documenti, finalizzati a dimostrare che gli europarlamentari «sono stati oggetto di indagini molto prima che l'eurodeputata Kaili fosse illegalmente detenuta dalla polizia belga».

Inoltre, affermano gli avvocati, da quei documenti si evincerebbe come la deputata greca sia stata «indagata per la sua attività di parlamentare e non per aver commesso alcun reato» e ciò «almeno dal 15 luglio 2022», come dimostrano i documenti di cui il Dubbio ha dato conto nei giorni scorsi. Ci sarebbe stata, dunque, una violazione delle prerogative parlamentari di Kaili, anche perché, sottolineano gli avvocati, l’indagine si è estesa all’attività di «un’intera commissione parlamentare» - ovvero la Commissione Pega, che indaga sugli spyware - e «in nessun momento si sono verificate le circostanze di una presunta flagranza di reato, che sarebbe l'unica eccezione che consentirebbe di revocare la sua immunità» senza che sia necessario attendere il via libera del Parlamento. Da qui il sollecito affinché Kaili venga ascoltata dalla Commissione, di fronte alla quale, assicurano i legali, «non avrà obiezioni a spiegare tutti i dettagli delle sofferenze che ha patito a causa della detenzione illegale subita e degli ingiusti procedimenti penali in cui è stata coinvolta».

Subito dopo gli arresti, l’Europarlamento aveva scaricato Kaili, votando quasi all’unanimità (625 a favore, un contrario e due astenuti) la decisione di revocarle l’incarico di vicepresidente. Voce fuori dal coro quella di Dorien Rookmaker, eurodeputata olandese del gruppo Ecr, che aveva deciso di astenersi criticando aspramente lo scarso garantismo dei colleghi, garantismo, aveva sottolineato, non negoziabile. «Il motivo principale - aveva spiegato al Dubbio - è che quello della “innocenza fino a prova contraria” è un principio importante e un diritto umano fondamentale, previsto dal trattato di Roma all’articolo 6.2. Inoltre, il Parlamento europeo non ha fornito informazioni ufficiali, quindi abbiamo dovuto basare il nostro giudizio sulla base di quanto riportato dai media e da altre fonti. Inoltre mi chiedo: il Parlamento non ostacola la giustizia quando giudica in anticipo prima che l'imputato sia portato in giudizio?».

Nei giorni scorsi a sollecitare uno scatto d’orgoglio da parte dell’Europarlamento era stato Giuliano Pisapia, vicepresidente Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo, che dalle colonne del Dubbio ha denunciato «un indebito e grave comportamento delle forze dell’ordine belghe che hanno agito in spregio alle facoltà riconosciute ai parlamentari europei - ha sottolineato -. L’immunità dell’europarlamentare non è un privilegio personale ma garantisce – ed è sempre l’Europarlamento a ricordarlo sul suo sito - a ciascun deputato di esercitare liberamente il proprio mandato senza essere esposto a una persecuzione politica arbitraria». A far indignare Pisapia era stata la presenza dei poliziotti in borghese durante i lavori della sottocommissione Diritti umani, durante i quali sono stati monitorati i comportamenti degli eurodeputati. «È evidente - ha concluso - il disprezzo di una libertà riconosciuta dall’Europarlamento, dalla Costituzione italiana e dai trattati. Un fatto come questo ci deve far riflettere ed esige una risposta da parte delle istituzioni europee a tutela non solo non del singolo parlamentare ma dei diritti individuali e collettivi dell’intera Unione europea».