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Non solo conflitto armato sulla Striscia di Gaza. Lo scontro, durissimo, tra israeliani e palestinesi si trasferisce pure all’Aia, davanti alla Corte internazionale di giustizia. Oggi sono iniziate le udienze sulle presunte violazioni degli obblighi umanitari da parte di Israele nei territori occupati.
Il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, con sede in Olanda, ha iniziato a discutere sull’obbligo di Israele di «garantire e facilitare» l’assistenza umanitaria urgentemente necessaria in favore dei civili palestinesi nei territori occupati, accendendo i riflettori sul conflitto in corso sulla Striscia di Gaza.
Il calendario prevede cinque giornate di discussione, fino a venerdì primo maggio, per rispondere ad una richiesta dello scorso anno dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che aveva coinvolto la Corte internazionale di giustizia affinché quest’ultima si pronunci sulle responsabilità legali di Israele dopo che il Paese guidato da Benjamin Netanyahu aveva vietato all’agenzia per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi (Unrwa) lo svolgimento di ogni attività sul suo territorio. Davanti ai 15 giudici della Cig parleranno 39 rappresentanti di altrettanti Stati. Sono previsti, tra gli altri, gli interventi di relatori degli Stati Uniti, Cina, Francia, Russia e Arabia Saudita.
Anche la Lega degli Stati arabi, l’Organizzazione per la cooperazione islamica e l’Unione africana presenteranno le loro proposte. Giova ricordare che i pareri consultivi della Corte internazionale di giustizia non sono giuridicamente vincolanti, ma potrebbero aumentare la pressione diplomatica su Israele.
Oggi sono intervenuti i rappresentanti palestinesi, dell’Onu, di Egitto e Malesia. I relatori delle Nazioni Unite e della Palestina hanno accusato Israele di aver violato il diritto internazionale, opponendo il rifiuto di consegnare gli aiuti umanitari a Gaza. Dal 2 marzo lo Stato d’Israele ha interrotto completamente tutti i rifornimenti ai 2,3 milioni di residenti della Striscia di Gaza. Le scorte di cibo accumulate durante il cessate il fuoco all’inizio dell’anno sono ormai esaurite.
A prendere per prima la parola è stata la consulente legale dell’Onu, Elinor Hammarskjold, la quale ha affermato che Israele, in quanto “forza occupante”, ha l’obbligo di consentire e agevolare la distribuzione degli aiuti umanitari per la popolazione di Gaza. «In merito alla situazione attuale nei Territori palestinesi occupati – ha affermato Hammarskjold -, gli obblighi previsti comportano la possibilità di consentire a tutte le entità competenti delle Nazioni Unite di svolgere attività a beneficio della popolazione locale». Il rappresentante palestinese Ammar Hijazi ha detto che Israele sta utilizzando gli aiuti umanitari come “arma di guerra”, mentre la popolazione di Gaza è alle prese con la fame. «Tutti i panifici sostenuti dalle Nazioni Unite a Gaza – ha evidenziato Hijazi - sono stati costretti a chiudere. Nove palestinesi su dieci non hanno accesso all’acqua potabile. Le sedi delle Nazioni Unite e di altre agenzie internazionali sono ormai vuote. Israele sta tentando di distruggere il popolo palestinese e di cancellare la Palestina anche impedendo e ostacolando le organizzazioni umanitarie, violando così i propri obblighi ai sensi della Carta delle Nazioni Unite e di altri strumenti di diritto internazionale. È in atto una catastrofe umanitaria di proporzioni senza precedenti».
Israele ha presentato una memoria scritta e non parteciperà alle udienze della Cig. Il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sàar, è stato molto duro: ha definito il procedimento davanti alla Corte internazionale di giustizia un “circo”. «Le Nazioni Unite – ha commentato Sàar, secondo quanto riportato dal quotidiano Haaretz - sono diventate un organismo marcio, anti-Israele e antisemita».
Le udienze davanti alla Cig, a detta del ministro degli Esteri israeliano, fanno parte di una «sistematica persecuzione e delegittimazione di Israele con le Nazioni Unite che stanno impedendo allo Stato ebraico di ottenere le armi di cui ha bisogno per difendersi». «È in corso – ha aggiunto Sàar - un altro tentativo di politicizzare e abusare del processo legale per perseguitare Israele. Prove evidenti dimostrano che sotto l’Onu e il suo segretario generale, l’Unrwa ha impiegato terroristi che hanno preso parte attiva al massacro del 7 ottobre 2023». Il responsabile della politica estera dello Stato d’Israele ha definito l’agenzia Onu «un proxy di Hamas». Infine, l’affondo più duro con una riflessione a largo raggio: «Adesso si sta abusando dei tribunali, ancora una volta, per cercare di costringere Israele a collaborare con un’organizzazione infestata dai terroristi di Hamas e ciò non accadrà».
La posizione di alcuni dipendenti dell’Unrwa è al vaglio di una commissione di inchiesta. Lo scorso anno, ad agosto, le Nazioni Unite hanno dichiarato che nove membri dello staff dell’agenzia per i rifugiati palestinesi potrebbero essere stati coinvolti nell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e che per questo motivo sono stati licenziati. Un altro comandante di Hamas, che lavorava per l’Unrwa, come confermato dalla stessa agenzia, è stato ucciso a Gaza nell’ottobre 2024.