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Carlo Nordio, ministro della Giustizia
Limitare le intercettazioni, ma senza intaccare la lotta alla criminalità organizzata. E poi: più attenzione verso la salute psicologica dei detenuti e degli agenti penitenziari, nonché una tipizzazione del reato di tortura, che però non si tocca. Nel giorno in cui incontra i suoi sottosegretari e il viceministro Francesco Paolo Sisto per risolvere il rebus dell’abuso d’ufficio, il ministro della Giustizia Carlo Nordio risponde alle interrogazioni dei deputati, ribadendo le sue intenzioni. A partire dalla volontà di mettere mano alle intercettazioni, che costano ogni anno almeno tra i 160 e i 180 milioni di euro. La disciplina, dunque, sarà cambiata. Ma ciò, ha assicurato Nordio, non vuol dire «voler favorire la mafia, attraverso un depotenziamento di queste indagini»: in questo ambito «la disciplina resterà inalterata». Ma i costi sono attualmente disomogenei in tutto il territorio nazionale e i pagamenti sfuggono «a ogni forma di controllo»: non essendoci un budget per ogni procura, «ogni pubblico ministero ed ogni gip possono disporne quante ne vogliono e alla fine vengono pagate secondo criteri sui quali stiamo costituendo dei tavoli di lavoro, quantomeno per rendere omogenee le liquidazioni di queste costosissime parcelle». Ma il problema va oltre i costi. Le intercettazioni, ha infatti evidenziato Nordio, «sono risultate molto spesso fallaci e ingannevoli» e la pubblicazione arbitraria di contenuti non rilevanti si è verificata anche dopo la riforma Orlando, ha spiegato rispondendo alle polemiche di stampa, come dimostrato «in questi giorni in Veneto», dove «sono state diffuse ampiamente intercettazioni di conversazioni di persone non indagate, non imputate, che sono state esposte al pubblico ludibrio senza nessuna necessità». L’intenzione è quella di limitare i costi «attraverso l'omogeneizzazione delle parcelle» e fissare un budget per ogni ufficio giudiziario «che non possa essere superato annualmente, per evitare che l’utilizzo di tale strumento sfugga «economicamente a ogni forma di controllo».
Nordio ha parlato anche dei suicidi in carcere, «un intollerabile fardello di dolore». Ma il discorso del ministro si è concentrato principalmente sulle condizioni di lavoro della polizia penitenziaria - altro tema dell’interrogazione del deputato di Noi moderati Pino Bicchielli -, sulle quali il Guardasigilli ha assicurato interventi nella direzione di una maggiore formazione del personale, di un incremento della dotazione organica e di un miglioramento della qualità della vita in termini di idoneità e vivibilità degli ambienti lavorativi. Altro aspetto importante quello relativo al supporto psicologico, per il quale è stato stanziato un milione di euro per il triennio del 2022-2024. Interventi rivolti alla tutela della salute sia dei soggetti fragili quali i tossicodipendenti sia delle persone che hanno un certo disagio fisico. «Trovo abbastanza irrazionale - ha evidenziato Nordio - che il nostro Stato spenda centinaia di milioni l’anno per le intercettazioni molto spesso inutili quando non troviamo i soldi per pagare il supporto psicologico a queste persone che, vivendo in questo stato di disagio, purtroppo tante volte compiono questo gesto finale». Mentre sul fronte del sovraffollamento la situazione italiana, secondo il ministro, non sarebbe tragica: «Il dato - ha affermato - è in linea con quello richiestoci dalla Comunità europea e dagli organismi internazionali. Il nostro indice di affollamento è del 117,71 per cento, cioè abbiamo 56mila persone, di cui 55mila esattamente presenti in istituto, a fronte di una capienza regolamentare di 51.295 posti». Insomma, tutto sarebbe a posto, nonostante il record di suicidi in carcere - 84 nel 2022 - e nonostante solo a dicembre l’Unione europea abbia piazzato il nostro Paese tra i peggiori in termini di sovraffollamento: l’Italia è infatti al quinto posto dopo Romania (119,3), Grecia (111,4), Cipro (110,5) e Belgio (108,4). Numeri intollerabili, a 10 anni esatti dalla sentenza Torreggiani, con la quale la Cedu ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani.
E la situazione delle carceri è stata anche sullo sfondo dell’interrogazione di Devis Dori (Avs) sul reato di tortura, a partire dalla mattanza nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e dalle dichiarazioni del sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove, che nel 2020 chiedeva l’encomio per la «spiccata professionalità» degli agenti ritenuti responsabili del terribile pestaggio. Questione sulla quale Nordio ha inteso tranquillizzare Dori, sottolineando come molti di quegli agenti risultino tuttora sospesi dal servizio. Nessun cedimento, dunque, «nessuna indulgenza da parte di questa amministrazione, assolutamente ferma a sanzionare secondo la legge i dipendenti infedeli che pongono in essere condotte illecite e antitetiche al dovere di giuramento». E il reato di tortura rimarrà, ha assicurato, ma «vi sono delle questioni tecniche per quanto riguarda molte norme che difettano di tipicità e specificità». La norma penale, ha infatti spiegato, «deve essere strutturata in un modo tale che sia assolutamente di facile applicazione proprio perché individua tutti gli elementi psicologici e oggettivi della struttura del reato. Secondo noi, questo reato di tortura difetta in alcune parti di queste condizioni - ha aggiunto -, ma questo non significa affatto che debba essere abolito o che debba essere attenuata quella che è l'attenzione nei confronti dello Stato nella repressione di condotte illecite che possono essere riferite sotto l'ambito della citata Convenzione di New York». Parole che non hanno rassicurato Dori: «È una prospettiva pericolosa - ha commentato -. Un depotenziamento significherebbe, nei fatti, un'abrogazione implicita del reato di tortura nel nostro Paese, perché risulterebbe inapplicabile in concreto».