Che fine hanno fatto le querele di Andrea Carletti contro i 147 haters che gli hanno augurato la morte dopo il suo arresto nell’operazione Angeli & Demoni? A quattro anni dalle denunce, tutto tace. Il sindaco di Bibbiano, a processo per abuso d’ufficio, fu infatti costretto a presentarsi in procura, dopo esser stato travolto su social e via mail da un'ondata di odio, scatenata da notizie false e imprecise diffuse ad arte sulla sua posizione nell’inchiesta sui presunti affidi illeciti. E quelle denunce sono finite nelle mani di Valentina Salvi, la stessa pm che lo ha prima fatto finire ai domiciliari e poi portato a processo assieme ad altre 16 persone davanti al Tribunale di Reggio Emilia.

Dal 2019 ad oggi, però, su quei fascicoli è calato il silenzio. «Sono quattro anni che ho presentato querela contro centinaia di persone per le minacce ricevute a seguito di un comunicato stampa in cui si lasciava intendere che anche il sindaco fosse responsabile dell’allontanamento dei bambini e dell’elettroshock - ha spiegato l’avvocato Giovanni Tarquini, difensore assieme a Vittorio Manes di Carletti -. All’allora procuratore Marco Mescolini sottolineai che c’era un problema di opportunità nell’affidare il caso alla stessa pm che aveva fatto arrestare il mio assistito, ma lui rispose che non c’era una legge a vietarlo. Trovo tutto questo tremendamente ingiusto, ma ancora più ingiusto è che tutto sia rimasto fermo a quattro anni fa».

L’odio nei confronti di Carletti fu alimentato anche da post di personaggi della politica, come quello dell’allora vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio anche lui nella lista degli haters querelati dal sindaco - che il giorno dell'esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare postò una foto di Carletti in fascia tricolore e la scritta “il sindaco del Pd che faceva affari coi bambini”. Affari che implicavano, secondo voci incontrollate mai filtrate dai giornali, anche l’elettroshock, somministrato con quella che fu impropriamente definita “macchinetta dei ricordi” utilizzata per il “lavaggio del cervello”. Ma che quello strumento non avesse nulla a che fare con terapie elettroconvulsivanti è un concetto chiarito definitivamente mercoledì in aula a Reggio Emilia dal perito informatico Michele Vitiello, che ha analizzato il macchinario su incarico della procura. Quell’aggeggino, piccolo come un elettrostimolatore a cui si chiede il miracolo di far sviluppare gli addominali, è risultato incapace di causare alcun danno: è pericoloso quanto ascoltare una canzone con le cuffie al proprio cellulare. Tutta fuffa, dunque. Ma Carletti, pur non avendo nulla a che fare con gli affidi e le terapie psicologiche, si trovò sulle prime pagine di tutti i quotidiani, descritto come un mostro sadico, un ladro di minori dedito alle torture, con tanto di trasfigurazioni grafiche del suo volto, tali da renderlo più simile all’identikit del mostro.

La procura fu costretta a smentire quelle “imprecisioni” il giorno dopo il blitz, precisando non solo di non aver mai contestato nulla di tutto ciò al politico, ma anche che l’elettroshock millantato dalla stampa non è mai esistito. Ma la fake è sopravvissuta ad ogni chiarimento, ormai inutile di fronte al proliferare di account fasulli che sin dal primo momento hanno fatto circolare video e post sulla vicenda sull’onda dell’hashtag “parlatecidibibbiano”. Carletti, per circa sei mesi, è stato costretto a rimanere in silenzio a causa delle misure cautelari a lui imposte, assistendo passivamente all’ondata di fango che ha travolto tutta la sua famiglia. Che si è solo ridotta, ma senza sparire, dopo il 3 dicembre 2019, giorno in cui la Cassazione sentenziò l’illogicità del suo arresto: non esistevano, infatti, elementi in grado di motivare la privazione della libertà.

In questa macchina del fango, secondo Tarquini, giocherebbe un ruolo centrale anche il comunicato stampa diffuso il giorno degli arresti. Comunicato che il 14 giugno scorso il legale ha chiesto di depositare al processo, per testimoniare «l’enfasi» posta sulla posizione di Carletti. Richiesta alla quale la pm si è opposta, in quanto «assolutamente irrilevante e ininfluente», ma senza successo. «Valuteremo noi», ha affermato la presidente del collegio Sarah Iusto, chiudendo l’argomento.

«L’enfasi» di cui ha parlato Tarquini avrebbe una connotazione politica, che l’avvocato ha provato a dimostrare anche attraverso un’altra questione: dopo l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare, i carabinieri chiesero il nulla osta alla pm per notificare l’ordinanza anche al prefetto, «per la valutazione in merito al commissariamento dell’Unione dei Comuni della Val d’Enza e del Comune di Bibbiano». E ciò alla luce, all’epoca, di tre accuse di abuso d’ufficio e una per falso ideologico, ridotte ad un’unica accusa per abuso d’ufficio con il rinvio a giudizio. Ma perché fare ciò?, ha chiesto in aula Tarquini nel controesame del maresciallo Giuseppe Milano. «Si poneva la questione rispetto ad un sindaco, quindi una carica elettiva, sottoposto a misura cautelare, dove la misura cautelare precludeva e prevedeva il commissariamento. Ricordo qualcosa del genere sia avvenuto», ha risposto Milano. Ma a smentire questa tesi ci ha pensato Tarquini: «Il problema della sospensione dalla carica del sindaco colpito da misura cautelare è una cosa, la richiesta di commissariamento di cui io le chiedo contezza è un’altra cosa», ha sottolineato.

E infatti non è necessario mandare alcunché al prefetto: è l’articolo 59 del Testo unico degli Enti locali a prevedere, a vario titolo ( anche a seguito di misure di prevenzione applicate con provvedimento non definitivo), la sospensione di diritto dalle cariche amministrative. Una cosa ben diversa dal commissariamento, anche perché in tale inchiesta non sussistono legami con la criminalità organizzata. «È evidente la spinta politica dietro quella richiesta - ha spiegato Tarquini al Dubbio -, una richiesta totalmente ingiustificata, tant’è che non c’è stata alcuna risposta da parte del prefetto. Questa è la dimostrazione che si è trattata di una iniziativa avventata che non ha nulla a che vedere con le specifiche contestazioni».