«A settembre presenterò un emendamento al ddl sicurezza per fare in modo che ogni fascicolo di ingiusta detenzione pagata dallo Stato venga automaticamente trasmesso al titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati, e anche alla Corte dei Conti. Oggi a pagare è solo lo Stato, non chi sbaglia». Questo l’annuncio lanciato dal deputato e responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa dalla piattaforma X.

Come ci racconta lo stesso parlamentare, negli anni è emerso «un quadro sconfortante: dal 2018 al 2023 sono state risarcite dallo Stato ben 4.368 persone ingiustamente arrestate, per una somma complessiva di 193.547.821. Ma paga solo lo Stato, perché a fronte di questi numeri, dal 2017 al 2023 sono state avviate appena 87 azioni disciplinari, con il seguente esito: 44 non doversi procedere, 27 assoluzioni, 8 censure, 1 ammonimento, 7 ancora in corso. Sanzioni solo nello 0,2% degli errori. I magistrati non pagano mai sul piano disciplinare. E cosa ha fatto questo governo? Di azioni disciplinari su casi di ingiusta detenzione ne sono state avviate, dal ministero della Giustizia, una nel 2022 e tre nel 2023, anni in cui complessivamente si sono pagati oltre 50 milioni di euro di riparazioni per ingiusta detenzione. Praticamente nulla, se pensiamo che Bonafede ne aveva avviate 22 nel 2019 e 19 nel 2020. A questo si aggiunga che il 95% delle segnalazioni disciplinari al procuratore generale della Cassazione è archiviato de plano, e che il ministero della Giustizia non si oppone mai a queste decisioni».

Ma come si arriva all’azione disciplinare? «Nel momento in cui una persona viene assolta in via definitiva, dopo aver trascorso un periodo in custodia cautelare, in carcere o ai domiciliari, si rivolge alla Corte di Appello competente per richiedere la riparazione per ingiusta detenzione. Nel 30 per cento dei casi le domande vengono accolte, nel 70 per cento no. Questo perché la legge prevede, secondo una formulazione assai controversa, che non debba essere risarcito chi avrebbe concorso, con dolo o colpa grave, all’errore del magistrato. Una postilla che consente alla giurisprudenza di negare il risarcimento nella maggioranza dei casi, attraverso il ricorso a varie acrobazie argomentative. Fino a poco tempo fa non si veniva risarciti, ad esempio, se l’indagato si avvaleva della facoltà di non rispondere: per fortuna siamo riusciti a modificare, di recente, quest’ultima previsione».

Secondo Costa «il punto cruciale è che la Corte d’appello stabilisce un risarcimento che verrà pagato dal ministero dell’Economia. Si tratta, dal 1992 ad oggi, di 874 milioni di euro complessivi. Lo Stato paga e finisce là. Il fascicolo del risarcito non viene trasmesso ad alcuno: non c’è chi sia chiamato a valutare se dietro l’ingiusta detenzione vi sia stata una responsabilità del magistrato». Invece per il deputato «se un amministratore comunale sbaglia e provoca un danno erariale, viene aperto un procedimento, e si valuta se il suo comportamento sia causale rispetto al danno erariale: ebbene, così dovrebbe essere anche per i magistrati».

E come si dovrebbe procedere, in concreto? «Nel momento in cui il Mef paga, quel fascicolo verrà trasmesso anche alla Corte dei Conti, che valuterà se esiste un responsabile per danno all’erario. Ci tengo a precisare che la sanzione non sarebbe automatica per ogni fascicolo, ma scatterebbe solo in caso di responsabilità».

Ma in che modo sono state avviate quelle pur poche azioni disciplinari condotte in questi anni? «Di solito il difensore della persona assolta invia una segnalazione. La verifica si attiva anche in casi in cui il risarcimento è dovuto non in virtù di un’assoluzione ma perché il magistrato ha fatto scadere i termini di custodia, dimenticandosi in carcere una persona».

È bene ricordare, come si legge nella relazione al Parlamento su ingiuste detenzioni ed errori giudiziari, che “la riparazione può riconnettersi ad ipotesi del tutto legittime di custodia cautelare accertata ex post come inutiliter data: di frequente, la richiesta e la conseguente adozione di misure cautelari si basa su emergenze istruttorie ancora instabili e, comunque, suscettibili di essere modificate o smentite in sede dibattimentale. Va poi sottolineato che, per costante giurisprudenza di legittimità, il diritto alla riparazione è configurabile anche nel caso in cui sia stato presentato un atto di querela, successivamente oggetto di remissione, ovvero in relazione a reati di cui venga in seguito dichiarata la prescrizione, o anche nel caso in cui l’ingiustizia della detenzione sia correlata alla riqualificazione del fatto in sede di merito, con relativa derubricazione del reato contestato nell’incidente cautelare in altro meno grave, i cui limiti edittali di pena non avrebbero consentito l’applicazione della misura custodiale. Appare evidente, dunque, come il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione non possa essere ritenuto, di per sé, indice di sussistenza di responsabilità disciplinare a carico dei magistrati che abbiano richiesto, applicato e confermato il provvedimento restrittivo risultato ingiusto”.

In ultimo, Costa annuncia di non escludere «che in futuro si possa studiare una fattispecie particolare di reato, in quanto una privazione per colpa della libertà personale è un fatto grave almeno quanto una lesione colposa».