PHOTO
Trent’anni dopo la rivoluzione della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, è il momento di un “Child Act”, che metta insieme tutti gli interventi necessari per rendere i diritti dei minori davvero diritti “in crescita”. Un atto formale che stabilisca i livelli essenziali delle prestazioni, il rispetto della forma del giusto processo, con la presenza di un avvocato dei minori, e un welfare per l’infanzia, in grado di combattere la denatalità e l’emergenza educativa. Al netto delle polemiche a volte sterili e, soprattutto, disinformate, sui presunti “sistemi”, come quello Bibbiano, che, dicono gli esperti, «non esiste». Spunti che sono venuti fuori dai tavoli di lavoro organizzati dal Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano, in occasione dei 30 anni della Convenzione, firmata il 20 novembre del 1989. Ma il mondo di oggi non è lo stesso di 30 anni fa e ciò comporta nuovi bisogni, nuove esigenze e nuove vulnerabilità e, quindi, nuovi diritti. «Tra essi ricordo il diritto dei bambini a non essere lasciati soli, a non dover assistere a discussioni o litigi tra genitori, a coltivare i propri sogni e a realizzarli, a utilizzare in modo consapevole e sicuro i nuovi media digitali», ha sottolineato Albano. Diritti in crescita, dunque, ovvero da interpretare in chiave evolutiva, partendo dal concetto base della prevalenza del superiore interesse del minore. «Oggi i servizi all’infanzia e all’adolescenza non rispettano standard minimi uguali per tutti», ha spiegato Albano, che ha proposto quattro livelli essenziali delle prestazioni: mense scolastiche per tutti i bambini delle scuole dell’infanzia, posti di nido autorizzati per almeno il 33% dei bambini fino a 36 mesi, spazi-gioco inclusivi per i bambini da zero a 14 anni e una banca dati sulla disabilità dei minorenni. «Dobbiamo garantire che i diritti siano realizzati per tutti, non uno di meno».
La rivoluzione epocale segnata dalla Convenzione, ha sottolineato Licia Ronzulli, presidente della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, è quella di aver reso i bambini soggetti di diritti e non più oggetti di tutela. Ma le norme, in Italia, sono ancora carenti. Ed è dimostrato dalla fotografia dell’Istat, secondo cui 1,26 milioni di bambini vivono in povertà assoluta, in termini di mezzi di sostentamento ma anche di povertà educativa. «Occorre un vero welfare per l’infanzia -ha sottolineato - e una gestione più trasparente dei centri per le famiglie e bisogna rendere l’allontanamento più conforme ai principi del giusto processo». A sottolineare l’esigenza di considerare il sistema infanzia come unico e integrato al sistema economico è stato il presidente del Consiglio nazionale forense, Andrea Mascherin. Che ha ricordato come non esistano riserve di competenza all'interno del mondo dell'infanzia. «Il processo minorile ha bisogno di interventi modificativi, che esaltino le professionalità, e investimenti - ha sottolineato -. Un sistema che vede un soggetto di diritti, qual è diventato il minore con la Convenzione Onu, al centro del processo prevede anche che al soggetto in questione venga garantita una voce autonoma e indipendente: il difensore del minore. Questo manca in maniera chiara». L’avvocato del minore, ha spiegato Mascherin, garantisce infatti soggettività, autonomia e indipendenza di difesa. E «serve un procedimento che più si avvicini alle regole del contraddittorio e del giusto processo», ha aggiunto.
Ma nel sistema minori, pensare alle casa famiglie o all’affido come strumenti mostruosi non solo è controproducente, ma anche falso. Concetti sottolineati dagli addetti ai lavori: da Marco Giordano, del Tavolo nazionale affido, a Maria Francesca Pricoco, presidente dell’Associazione italiana magistrati minorili e familiari, passando per Gianmario Gazzi, presidente del Consiglio nazionale degli assistenti sociali. «C'è sfiducia - ha sottolineato Giordano -. Il rischio è l’arretramento del sistema di tutela complessivo». L’affidamento familiare, ha aggiunto, è affiancamento, «come avere una famiglia in più». Ma ben 4 affidi su 5 sono giurisdizionali. «La campagna mediatica fatta negli ultimi mesi è stata però un ostacolo - ha sottolineato -. E il nostro, allo stato attuale, più che un affidamento è un “affibbiamento” familiare, perché ci sono pochi assistenti sociali. È come avere un reparto con un solo medico». Non esiste, dunque, un sistema Bibbiano, ma un sistema di prevenzione dei bambini in situazioni di rischio, «che è importantissimo», ha sottolineato Pricoco. «Un sistema da salvaguardare e rafforzare - ha aggiunto -. Non si può procrastinare l'introduzione di un giusto processo civile minorile». Ma forti critiche alle strumentalizzazioni derivate dall’indagine “Angeli e Demoni” sono arrivate soprattutto da Gazzi. «Tutti ci dicono parlateci di Bibbiano - ha sottolineato - ma devo parlare di cose più serie. In una fase già difficile per fare prevenzione, dato l’approccio culturale sempre più adultocentrico i media spingono alla diffidenza, trattando questi temi con una superficialità spaventosa e creando distanza tra tutto ciò che si fa per proteggere minori e le richieste di aiuto. Anche chi vuole aiutare sta lontano in questo momento. Mi trovo a disagio quando i rappresentati delle istituzioni parlano di business delle comunità: forse non ci sono mai stati». Ma il sistema di tutela è messo in discussione anche dalla carenza di fondi e di assistenti sociali. «Ci sono interi territori del paese che non vedono nessun sistema di protezione se non quello garantito dall'autorità giudiziaria - ha ammonito -. È urgente fare un “Child Act”, un testo unico che garantisca tutto ciò che serve».
Ma tra le emergenze, sottolineate da più parti, c’è anche quella della denatalità. «Bisogna combatterla aiutando le famiglie - ha sottolineato Ilaria Antonini, Capo dipartimento per le politiche della famiglia -. I genitori sono responsabili dell'educazione e dello sviluppo dei bambini, ma lo Stato deve rendere adeguati i contributi ai genitori, affinché possano compiere queste funzioni. Ci poniamo l’obiettivo di creare un fondo per dare un assegno universale per ogni figlio, fino ai 18 anni, a partire dal 2021. Basandoci su un concetto: il figlio è una ricchezza e va tutelata». Stesso allarme lanciato da Gianluigi De Palo, presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari. «Ogni anno abbiamo 180mila bambini in meno - ha sottolineato -. L'economia orienta anche le scelte politiche ed educative e se non ci sono consumatori minori cambia tutto. Meno figli vuol dire più povertà educativa. Urge un patto reale sulla natalità: investiamo il 60% della spesa sociale per pensioni e solo il 5,8% per famiglie e minori».