«Oggi è successa una cosa che ritengo gravissima per la mia professione: avevo udienza penale a Venezia e avendo il parto previsto tra circa 3 settimane ho chiesto il rinvio per legittimo impedimento così come prescritto espressamente dal nostro cpp per le donne in gravidanza, il giudice (donna) non me lo ha concesso obbligando il collega che avevo delegato a discutere un processo di cui non conosceva gli atti e condannando gli imputati. Se un giudice non è più sottoposto neppure al codice dove finiremo? Una donna avvocato non ha neppure il diritto di evitarsi una gravosa trasferta alla 36 settimana di gravidanza?».

A denunciarlo sul proprio profilo Facebook è Federica Tartara, avvocato genovese di 40 anni, che su consiglio dei medici aveva deciso di appellarsi al legittimo impedimento per evitare una lunga trasferta - da Genova a Venezia - che non si sentiva in grado di affrontare fisicamente. Tartara ha dunque deciso di fare affidamento sulla norma recentemente modificata, che prevede il rinvio delle udienze per le professioniste in gravidanza a partire dai due mesi che precedono il parto e per i successivi tre mesi, informando il Tribunale tramite posta elettronica certificata, con tanto di certificati medici in allegato.

La giudice, però, ha deciso di non accogliere la richiesta e procedere con l’udienza, che si è conclusa con la condanna dei due imputati, assistiti da un collega che ha sostituito Tartara all’ultimo minuto.

«Che si possa rinviare l’udienza lo dice la stessa giurisprudenza, ovvero l’articolo 420 ter comma 5 bis del codice di procedura penale, ha sottolineato Tartara all’AdnKronos -. Ma a me, il giudice, oltretutto donna anche più giovane di me, lo ha negato, dopo aver presentato tempestivamente il certificato medico attestante lo stato di gravidanza e la data presunta del parto. Tra l’altro, ricordo che il rinvio per legittimo impedimento del difensore sospende la prescrizione quindi non si sarebbe verificato alcun vulnus processuale, ha aggiunto.

Il processo riguardava un caso di appropriazione indebita: l’avvocata aveva assunto la difesa dei due coniugi il 4 novembre scorso, quando una degli imputati è rimasta sprovvista di difensore a pochi giorni dall’ultima udienza fissata per il 12 novembre. Tartara aveva depositato, insieme alla nomina, l’istanza di rinvio secondo le norme previste. In aula si era poi presentato un domiciliatario in loco, al quale la giudice ha comunicato il rigetto della richiesta di rinvio, «sostenendo che vi fossero già stati troppo rinvii e che un legale che sa di non potersi assumere un incarico non deve assumerlo», riporta Tartara.

I due imputati sono stati condannati a due anni di reclusione e ad un versamento di una provvisionale di 15.000 euro in favore della parte civile. «Se avessi ottenuto il rinvio avrei avuto anche più tempo per poter studiare gli atti - ha spiegato Tartara -. Di fatto, gli assistiti sono stati privati di un’adeguata assistenza difensiva minando così i diritti fondamentali della difesa. Ma il punto non è questo, lascia basiti la decisione da parte di un magistrato che impedisce ad una professionista incinta ciò che è legittimo per legge. Un giudice che dovrebbe attenersi alla Costituzione, e invece qui siamo di fronte ad un atto discriminatorio non solo nei confronti delle donne, ma anche delle libere professioniste».

Tartara ha deciso così di presentare un esposto al Csm contro la giudice, «onde scongiurare che altri possano subire tali ingiustizie», incassando, intanto, la solidarietà delle Camere penali del diritto europeo e internazionale. A intervenire anche la politica.

«Dal tribunale di Venezia arriva un messaggio devastante per le donne, che mette in discussione persino un valore cardine come quello della maternità - ha sottolineato Susanna Campione, senatore di Fratelli d’Italia e componente della Commissione Giustizia di Palazzo Madama -. Nell’esposto al Csm viene giustamente ricordato che è assolutamente incontestabile il diritto del difensore in stato di gravidanza di ottenere un rinvio dell’udienza per legittimo impedimento nei due mesi antecedenti il parto e nei tre mesi successivi, come recita lo stesso codice di procedura penale all’articolo 420 ter comma 5 bis. Al di là delle motivazioni giuridiche, il giudice che ha negato il legittimo impedimento ha palesato una mancanza di empatia che lascia basiti».

Per la senatrice Erika Stefani, capogruppo Lega in commissione Giustizia a Palazzo Madama, «non si può più attendere nel garantire il legittimo impedimento degli avvocati nel processo civile. Faremo un’interrogazione al ministro Nordio per approfondire la vicenda. Purtroppo questi episodi anche in sede penale sono all’ordine del giorno, ecco perché auspichiamo sia velocizzato alla Camera l’iter del nostro ddl sul legittimo impedimento, già approvato in Senato - ha sottolineato -. La Lega pensa alle soluzioni pragmatiche: quando un legale ha impedimenti che, per una giusta causa, non gli permettono di andare in Tribunale, non si può negare ai cittadini il diritto alla difesa».

Critico anche Gianni Berrino, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Giustizia. «Trovo molto grave - ha detto - che un giudice del Tribunale di Venezia abbia impedito a una legale di poter esercitare un proprio diritto, avvalendosi di una legge dello Stato. Ricordo che proprio due mesi fa in Senato è stata modificata la normativa obbligando il rinvio delle udienze del legale in gravidanza a partire dai due mesi antecedenti la gestazione e nei successivi tre. È una tutela del professionista, ma anche del cittadino rappresentato in sede legale da quel professionista. Averla negata - ha concluso - va contro la legge e annuncio che andrò a fondo».