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La casa in cui la piccola Martina ( nome di fantasia) fu raggiunta dai carabinieri che lei stessa chiamò, dichiarando di essere stata lasciata sola dai genitori, era disordinata, con avanzi di cibo sul lavandino e vestiti sparsi ovunque. A confermarlo lunedì al processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza sono stati i militari intervenuti quel giorno, che hanno poi consegnato la bambina ai servizi sociali, che la affidarono ad una coppia di donne - difese dagli avvocati Andrea Stefani e Valentina Oleari -, ora imputate per maltrattamenti. Per il caso di Martina l’assistente sociale Francesco Monopoli, difeso dagli avvocati Nicola Canestrini e Giuseppe Sambataro, è accusato di aver falsificato una relazione, nella quale la casa della minore veniva descritta in condizioni igieniche non consone. Condizioni che, invece, erano state certificate dai due militari intervenuti quel giorno.
Tutto comincia il 7 giugno del 2016, quando alla stazione dei carabinieri di Bibbiano arriva la chiamata di Martina, che dice ai militari di essere stata lasciata da sola. Sul posto arrivano il brigadiere Romeo Tanchis e il carabiniere Giorgio Biccirè, ai quali la bambina ( all’epoca di soli 9 anni) spiega che era stato il padre, poco prima di uscire, a dirle di chiamarli nel caso in cui la madre, partita la sera prima per lavoro, non fosse tornata a casa. A quel punto, il comandante della Stazione, Andrea Berci, contatta i servizi sociali, stilando un verbale nel quale dichiara di aver rinvenuto la minore «in situazione abbandonica e/ o di grave pregiudizio, in quanto materialmente e/ o moralmente abbandonata».
Nella loro relazione, i servizi sociali descrivono una casa «trascurata», con «cibo avariato lasciato sui mobili da diversi giorni e disordine generale». Circostanza che, secondo l’informativa consegnata al pm dagli investigatori, non sarebbe confermata dai militari. I verbali, però, raccontano una verità diversa, come scoperto dalle difese in fase di indagini: nel dvd in allegato all’informativa datata novembre 2018, infatti, sono contenute le sit dei due carabinieri, che concordano con quanto appuntato dagli assistenti sociali. Tanchis, ad esempio, parla di «un disordine diffuso composto da stoviglie non lavate e non riordinate e residui di cibo su alcuni piatti lasciati all’interno del lavandino e sul piano di lavorazione della cucina».
I due militari, in aula, hanno di fatto confermato quelle circostanze, spiegando, inoltre, che la bambina li ha accolti con tranquillità. Ma i due hanno preferito non entrare in casa e attendere i servizi sociali, in virtù della storia familiare, a loro nota, fatta di liti e denunce reciproche. Erano stati loro stessi, inoltre, ad arrestare il padre della bambina per rapina a mano armata - l’uomo fu beccato con la pistola addosso e il colpo in canna insieme ai complici mentre si spartivano il bottino -, confermando, inoltre, di essere a conoscenza delle voci secondo le quali la madre si prostituiva. Un dato che era stato segnalato nella relazione dei servizi - e che i due coniugi si rinfacciavano a vicenda dopo la separazione -, ma tacciato come falso dalla procura. I due militari, descrivendo l’abitazione, hanno parlato inoltre di scatole di cartone ricoperte di indumenti, vestiti sui letti e, oltre ai piatti nel lavandino, anche cartoni con residui di pizza e un coniglio che correva libero per casa.
A Monopoli viene contestato di aver scritto nella relazione che il cibo fosse avariato, circostanza sulla quale i militari non hanno saputo riferire, pur confermando che la situazione non era ordinaria. «Devo ancora cominciare a vedere quali sono le prove su cui si dovrebbe fondare una condanna - ha commentato Canestrini -. Gli stessi testi dell’accusa hanno smentito le circostanze alla base del capo di imputazione. E fa male, perché queste sit erano già note». In aula anche Martina Cerlini, difensore della madre della bambina, che ha confermato la volontà della donna di voler vedere la figlia e i rapporti altalenanti con i servizi.
Secondo la legale, era Monopoli ad annullare sistematicamente i colloqui tra madre e figlia. Ma la difesa ha depositato una pec di Cerlini e dei messaggi dai quali risulta che la stessa avvocata si era scusata con l’assistente sociale per il comportamento della madre, tentando di riaprire un dialogo. E Monopoli aveva più volte contattato Cerlini per comprendere se la donna si sarebbe presentata agli incontri, non riuscendo a interloquire con lei. Altro particolare riguarda un episodio avvenuto in ospedale, quando la madre varcò la soglia della camera dov’era ricoverata la figlia - nonostante il divieto imposto dal Tribunale per i minorenni - urlando. «Quella volta Monopoli mi disse che non doveva fare scenate e che i servizi sociali avrebbero agito giudizialmente contro di lei. Io mi opposi, perché la donna era venuta a sapere ( non si sa da chi, ndr) che la figlia era all’ospedale e non sapeva il motivo», ha dichiarato Cerlini. Altro teste controverso la presunta babysitter di Martina che, sentita a sit anni dopo gli arresti, aveva dichiarato che la bambina non veniva mai lasciata da sola in casa, perché la madre la affidava a lei, che in casa si occupava anche di fare le pulizie.
Nel corso dell’esame, su domanda della pm Valentina Salvi, è emerso però che la donna sarebbe entrata in quella casa una sola volta in tutta la sua vita e non due volte a settimana come dichiarato a sommarie informazioni. Anche lunedì, in aula, era presente un gruppo di sostenitori degli imputati, che si presentano ad ogni udienza indossando un capo rosso, per manifestare solidarietà e sostenere «la loro innocenza».