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Mimmo Lucano in compagnia dell'avvocato Andrea Daqua davanti alla Corte di Cassazione
«Come è possibile che un uomo arrivi al quarto stadio di un tumore e venga scarcerato solo a dieci giorni dalla fine della sua pena?». È con questa domanda che Mimmo Lucano, europarlamentare di Avs, ha sollevato il caso di Habashy Rashed Hassan Arafa – per tutti Ahmed -, un detenuto egiziano accusato di essere uno scafista, affetto da un tumore al pancreas al quarto stadio.
Habashy – la cui storia è stata raccontata in esclusiva sul Dubbio -, è stato arrestato nel 2021, quando è arrivato in Calabria su una bagnarola insieme ad altri profughi. Ahmed è scappato dall’Egitto e in tasca porta un passaporto. E viene individuato come colui che ha condotto la nave fino in Italia, uno scafista, un trafficante di esseri umani. Sebbene lui abbia sempre provato a dire, nell’unica lingua che conosce – l’arabo – di essere solo un passeggero come gli altri, uno che cercava la vita dall’altro lato del Mediterraneo. In carcere Ahmed si è ammalato. Ma proprio le difficoltà di comunicazione hanno reso impossibile rendere chiaro il suo enorme malessere. Così, quando è stato scoperto il suo tumore al pancreas era ormai troppo tardi: a pochi giorni dal fine pena, ha ricevuto un’altra condanna definitiva, una sentenza di morte.
Lucano, questa mattina, si è recato nel carcere di Arghillà a Reggio Calabria insieme al suo avvocato Andrea Daqua, chiedendo spiegazioni sul perché Ahmed, pur lamentandosi per il suo stato di salute, non abbia ricevuto assistenza tempestiva. «Ahmed mi ha raccontato di aver detto più volte di non sentirsi bene, ma non parlando l’italiano, nessuno lo ha capito», ha spiegato Lucano, visibilmente sconvolto dalla situazione. «Mi hanno detto che quest'uomo non si lamentava mai, ma la verità è che la sua malattia è stata ignorata troppo a lungo». Le sue condizioni sono peggiorate drasticamente a gennaio, ma, come riportano i documenti del carcere, solo quando la sua situazione è diventata gravissima, è stato trasferito in ospedale. «Le condizioni del detenuto sono precipitate», hanno scritto il direttore della Casa circondariale e il coordinatore sanitario. «Il dirigente medico, stando a quanto ci hanno raccontato oggi, avrebbe insistito tante volte per farlo ricoverare – ha sottolineato Lucano -. Non si capisce perché non lo abbiano fatto ricoverare prima».
«Ahmed
aveva tutti i criteri per chiedere asilo politico, ma è stato arrestato – spiega ancora -. Non sa parlare italiano, ma solo l’arabo, e ha un carattere particolare: quasi non vuole difendersi, non reagisce energicamente alle ingiustizie. Non ha parenti in Italia, poteva contare solo sul suo avvocato d’ufficio». Il carcere di Arghillà, spiega ancora l’eurodeputato, «è degradato e sporco. Ma il tumore al pancreas non è una malattia infettiva, non compare da un giorno all’altro e per caso. Com’è stato possibile ignorare il suo stato per così tanto tempo?».L’assenza di un interprete per l'arabo ha reso ancora più farraginoso il tutto. «Il dirigente medico del carcere – aggiunge il sindaco di Riace – ha ammesso di non sapere come si sia evoluta la malattia, se fosse malato già all’arrivo o meno. Non c'è certezza su questo. Nonostante le sue lamentele, solo dopo un’ecografia, sono emersi problemi molto gravi e poi una tac ha confermato la presenza di un tumore. Nonostante tutto, non è stato ricoverato, ma è rimasto in carcere. Il medico si è scontrato con la direzione proprio per questo motivo, chiedendo il suo ricovero – aggiunge -. Ce lo hanno confermato anche le vicedirettrici».
Quando Ahmed è arrivato a Riace, per la prima volta ha incontrato qualcuno in grado di parlare la sua lingua. «Mi ha detto: "Finalmente posso parlare". Ha bisogno non solo di medicine e flebo, ma anche di presenza umana. Qui c'è un contatto diretto, c'è solidarietà tra rifugiati. Ahmed è felice di essere qui. Noi, come Italia, abbiamo rivendichiamo il martirio di Giulio Regeni in Egitto, ma Ahmed ha subito in Italia una grave violazione dei diritti umani. Rischiava di rimanere invisibile: gli abbiamo almeno restituito la dignità. Chi pagherà questa ingiustizia? È quello che chiedo oggi io per lui, che ha cinque figli in Egitto, e per la sua famiglia. Porterò questa questione in Europa».