Secondo l’articolo 68 della nostra Costituzione, i deputati svolgono il mandato in modo libero e privo da condizionamenti con il solo limite dell’ovvio rispetto della dignità dei terzi: ecco perché le dichiarazioni rilasciate al di fuori delle sedi del Parlamento, comprese quelle affidate ai social media, sono ritenute dal nostro ordinamento insindacabili. Principio assodato ma ribadito dalla Corte costituzionale lo scorso 10 giugno, la quale con sentenza n. 104 ha respinto un conflitto di attribuzione promosso dal Tribunale di Milano avverso la Camera dei Deputati. L’arresto conferma l’insindacabilità delle dichiarazioni rilasciate da Carlo Fidanza, di Fratelli d’Italia.

Gli episodi risalgono al 2018, quando Fidanza, in un video pubblicato su Facebook, esprimeva colorate critiche su una mostra in un noto locale milanese. Le dichiarazioni del deputato erano finite sotto la lente d’ingrandimento dell’Amministratore che aveva organizzato l’evento, il quale sosteneva come le affermazioni in allora rilasciate avrebbero indotto a screditare il locale, causando ripercussioni, soprattutto a livello mediatico. A seguito della querela da questi presentata, il conflitto di attribuzione era finito sulle scrivanie della Consulta.

Secondo la Camera dei Deputati le opinioni espresse rientravano nel perimetro dell’esercizio delle funzioni parlamentari ex art. 68 Cost. e per l’effetto insindacabili. Di altro pensiero il Tribunale di Milano, secondo cui le critiche mosse da Fidanza rientravano nel raggio d’azione delle norme sul diritto di critica. A decidere la partita è intervenuta la Corte costituzionale, la quale ha considerato integrato il nesso di causalità tra le dichiarazioni rilasciate e le opinioni espresse nell’esercizio del mandato istituzionale. La Corte ha sottolineato come «il punto di equilibrio tra gli antagonisti valori va ricercato necessariamente in concreto, dapprima per opera delle Camere e del potere giudiziario, poi ed eventualmente in sede di conflitto di attribuzione». A tal fine, prosegue il precedente, quando si tratti di opinioni rese fuori dalle sedi parlamentari – e sempre che di opinioni si tratti e non, ad esempio, di insulti o minacce – la giurisprudenza costituzionale ha considerato indici rivelatori dell’esistenza di connessione con l’esercizio delle funzioni parlamentari «la sostanziale corrispondenza con opinioni espresse nell’esercizio di attività parlamentare tipica e la sostanziale contestualità temporale fra tale ultima attività e l’attività esterna».

Ca va sans dire, che l’immunità non si deve trasformare in un privilegio, ma le opinioni espresse devono basarsi sul rispetto della dignità di chi sta ricevendo la critica, apportando un’attenzione rafforzata se il soggetto in questione non è a sua volta un parlamentare e se la critica viene fatta attraverso i potenti e moderni mezzi di comunicazione che la rendono perpetua nel tempo e facilmente fruibile a tutti.

Se oggi, e lo dimostrano i fatti in commento, vi sono ancora accesi dibattiti sul tema, buona responsabilità è figlia dell’abolizione dell’autorizzazione a procedere. Innumerevoli sono state le vicende politiche che avrebbero trovato una diversa soluzione nell’operatività di quell’istituto. Certamente l’attuale scrivente si esime dal dire che sarebbe stato meglio o peggio, ma sicuramente gli sviluppi di alcuni fatti - attraverso una più diretta assunzione di responsabilità da parte della classe politica sarebbero stati differenti.

L’abolizione dell’autorizzazione a procedere ha improvvisamente creato un vuoto nei rapporti tra Parlamento e magistratura, dal quale sono derivate tensioni che si sono scaricate sull’insindacabilità parlamentare, creando il nutrito contenzioso costituzionale che abbiamo esaminato. Nessuno può negare che le Camere, prima e dopo la riforma, nella Prima e nella

Seconda Repubblica, facendo ricorso al diniego di autorizzazione o alla declaratoria di insindacabilità, abbiano soggiaciuto troppo spesso ad un riflesso di protezione corporativa e abbiano travalicato i limiti di una applicazione ragionevole dell’immunità. Ma questi comportamenti non possono condurre a sostenerne un radicale ridimensionamento o azzeramento perché, per quanto l’evoluzione storica del costituzionalismo ne abbia lentamente mutato il significato, le immunità parlamentari continuano a rimanere un elemento essenziale del sistema di pesi e contrappesi tra poteri dell’ordinamento liberaldemocratico che rende l’operato privo da condizionamenti e da retropensieri che potrebbero bloccare le attività istituzionali.