La Corte di Cassazione ha confermato che il processo Ilva si rifarà a Potenza. Due giorni fa infatti la prima sezione penale del Palazzaccio ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti dalle parti civili Codacosn e Aidma ( Associazione italiana per i diritti del malato e del cittadino) avverso la sentenza 13 settembre 2024, con cui la Corte d’assise d’appello di Taranto aveva annullato la sentenza di primo grado e ordinato la trasmissione degli atti all’autorità giudiziaria di Potenza, ritenuta competente alla celebrazione del giudizio.

Cos’era successo tra primo grado e appello

Il 13 settembre la sezione distaccata di Taranto della Corte d’assise d’appello di Lecce aveva annullato la sentenza di primo grado del processo cosiddetto “Ambiente Svenduto” a carico di 37 imputati e tre società per il presunto disastro ambientale causato dall’ex Ilva negli anni di gestione dei Riva, dal 1995 al 2013. In primo grado erano stati condannati i proprietari, i dirigenti dell’azienda, i politici e qualche tecnico per circa 270 anni di carcere. La Corte d’assise stabilì sia la confisca degli impianti dell’area a caldo che la confisca per equivalente dell’illecito profitto nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici, per una somma di 2,1 miliardi.

A vario titolo gli imputati erano accusati di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, corruzione in atti giudiziari, omicidio colposo e altre imputazioni. Pene di 22 e 20 anni ci furono per i fratelli Fabio e Nicola Riva, 21 anni e mezzo all’ex responsabile delle relazioni esterne del gruppo Girolamo Archinà, 3 anni e mezzo per l’ex presidente della Regione Nichi Vendola. Dunque fu accolta la richiesta dei difensori di spostare il procedimento a Potenza in quanto si erano costituite parti civili come soggetti danneggiati tre giudici tarantini onorari (due giudici di pace e uno della sezione Agraria del Tribunale), che avevano esercitato le funzioni nello stesso distretto di Corte d’appello del procedimento, durante il periodo nel quale si sarebbero consumati i fatti oggetto di imputazione. La Corte aveva disposto la trasmissione degli atti alla Procura di Potenza per gli adempimenti di competenza.

La Corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Antonio Del Coco (affiancato dal giudice Ugo Bassi e dalla giuria popolare) ha letto solo il dispositivo dell’ordinanza, mentre le motivazioni sono state depositate entro 15 giorni. Vi si è letto, tra l’altro, che il processo di primo grado non è riuscito “garantire, nella massima misura possibile, l’apparenza di terzietà ed imparzialità dell’ufficio giudiziario chiamato a giudicare i fatti che coinvolgono un collega, che, per particolari rapporti lavorativi intrattenuti con lo stesso, potrebbe sfruttare una rendita di posizione all’interno dell’ufficio giudicante”. Dunque si era deciso di rifare il processo dal primo grado ma a Potenza.

La decisione aveva suscitato molte polemiche. Eppure quanto accaduto era prevedibile perché gli avvocati di numerosi imputati avevano sollevato già oltre dieci anni fa, in udienza preliminare e poi in dibattimento, l’eccezione relativa all’incompetenza dell’autorità giudiziaria di Taranto sul processo Ilva. Contro ogni evidenza della norma, si sono celebrate tuttavia solo in dibattimento oltre 200 udienze e, prima, molte decine di udienze preliminari: centinaia di trascrizioni, il pagamento dei giudici, dei periti, per non dire delle spese di difesa che hanno dovuto affrontare imputati e parti civili. Un danno erariale enorme.

La decisione del gip

A dicembre il gip di Potenza aveva ridato all’ex Ilva - ora Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria - la facoltà d’uso degli impianti dell’area a caldo del siderurgico di Taranto che comunque restano sequestrati. Aveva dunque confermato la propria competenza e contestualmente aveva confermato le argomentazioni della Corte d’assise d’appello di Taranto. La Cassazione.

Le parti civili Codacosn e Aidma avevano lamentato l’incostituzionalità dell’articolo 568 cpp nella parte in cui non prevede la possibilità di ricorso delle parti civili. Ma gli ermellini gli hanno dato torto e hanno ritenuto inoppugnabile la sentenza di appello dichiarativa dell’incompetenza, in applicazione dell’articolo 568, comma 2, cod. proc. pen., senza pregiudizio della possibilità che la questione di competenza torni all’esame della Corte di legittimità in sede di risoluzione di conflitto o unitamente al merito della vicenda processuale.

Il professore Vittorio Manes e l’avvocato Pasquale Annicchiarico, difensori di Nicola Riva, si sono detti «soddisfatti dell’esito perché la Cassazione ha respinto con nettezza la questione di costituzionalità, riaffermando con vigore i valori della legalità processuale e delle garanzie costituzionali».