Sequestri illegittimi a danno di soggetti estranei alle indagini, che hanno provocato - se non un danno patrimoniale, non sufficientemente dimostrato - quantomeno un danno morale. Il Tribunale di Potenza ha riconosciuto la responsabilità civile dei magistrati della Procura di Lecce e dei giudici del Riesame per i sequestri preventivi a carico dei familiari dell’ex magistrato Michele Nardi, ex giudice per le indagini preliminari di Trani accusato di corruzione. Provvedimenti, si legge nella sentenza depositata lo scorso primo aprile. emessi senza una valutazione adeguata della effettiva disponibilità dei beni sequestrati in capo a Nardi. Una decisione che rappresenta un caso raro, date le pochissime condanne in tema di responsabilità civile dei magistrati, contestata solo in caso di dolo o colpa grave.

I familiari di Nardi hanno lamentato il danno patrimoniale subito, la chiusura dei conti correnti e la perdita di opportunità professionali, oltre a danni reputazionali e psicologici, come l’inclusione nelle liste antiriciclaggio, il forte stress emotivo, l’isolamento sociale e la risonanza mediatica della vicenda, finita su tutti i giornali.

La Presidenza del Consiglio dei ministri, scesa in campo a difesa dei magistrati, ha sostenuto la legittimità dei sequestri, argomentando che questi fossero stati disposti correttamente dal gip, in conformità con la legge, che consente di sequestrare beni equivalenti a quelli derivanti dal reato anche se intestati formalmente a terzi. Di parere diverso il Tribunale, secondo cui i magistrati della procura avrebbero omesso di segnalare che i beni oggetto di sequestro preventivo erano stati trasferiti da Nardi alla ex moglie e ai figli, di fatto sottraendo al giudice la possibilità di accertarlo. Se è possibile, infatti, sequestrare beni intestati in maniera fittizia ad altri per eludere la legge, è però necessario accertare questa disponibilità effettiva, attraverso una valutazione concreta del giudice, sulla base delle prove fornite dal pubblico ministero. Nel caso in questione, però, la valutazione del sospetto della fittizia intestazione di beni è stata fatta direttamente dal pm, «in violazione del dettato normativo e dell’interpretazione costante della giurisprudenza di legittimità e con lesione dei diritti di terzi estranei ai reati ascritti all'indagato». E ciò, secondo il Tribunale, rappresenta una «grave violazione delle leggi e della giurisprudenza», avendo sottratto al giudice una prerogativa che appartiene solo a lui. Stessa responsabilità è stata riconosciuta in capo ai giudici del Riesame, rei di non aver effettuato una valutazione più approfondita, gravando su di essi l'obbligo di verificare la legittimità complessiva dei provvedimenti di sequestro, senza limitarsi ai soli motivi di gravame portati in istanza. I giudici, infatti, non hanno neppure verificato se fosse stato accertato dal gip che l'intestazione dei beni a terzi fosse fittizia, un elemento cruciale per stabilire la legittimità di quei sequestri.

Non essendo stato accertato il danno patrimoniale, il Tribunale ha affrontato la questione del danno morale distinguendolo in due tipologie: quello derivante dalla «risonanza mediatica» della vicenda e quello correlato alla «paura di essere privati dei beni patrimoniali», in particolare della casa familiare. Secondo i familiari di Nardi, gli illegittimi provvedimenti giudiziari avrebbero provocato un «turbamento psichico» dovuto al danno di immagine e alla paura di un coinvolgimento ingiustificato nelle indagini. Una tesi che, secondo il Tribunale, non risulta sufficientemente provata, in quanto non è provata una «autonoma risonanza mediatica» della vicenda relativa ai sequestri, separata da quella che ha coinvolto Michele Nardi. Diversa è la conclusione per quanto riguarda il danno morale legato alla paura di perdere i beni patrimoniali e in particolare la casa familiare. Il sequestro preventivo disposto nei confronti dei familiari dell’ex magistrato, infatti, ha coinvolto anche il 50 per cento della loro casa familiare, trasferita da Nardi all’ex moglie come parte di un accordo di separazione. Tale timore, per il Tribunale, rappresenta un danno morale significativo, legato alla perdita di un bene che non è semplicemente “sostituibile” come un qualsiasi altro immobile, ma che rappresenta il «punto di riferimento materiale» per l’intero nucleo, costituendo il centro della loro vita familiare.

Un danno che non può essere quantificato in termini economici con precisione, ma che il Tribunale riconosce come ingiusto e derivante dalla lesione di un «interesse costituzionalmente protetto», essendo la casa familiare tutelata dal diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tuttavia, il Tribunale non ha ritenuto provato che il sequestro e la vicenda legata al riciclaggio abbiano avuto un impatto diretto sulla sofferenza psicologica dei familiari di Nardi, escludendo quindi il danno morale per la paura di essere coinvolti nel reato di riciclaggio. Il Tribunale ha dunque stabilito un risarcimento pari a 3mila euro per ciascun attore (ex moglie e due figli di Nardi). Nonostante l'entità limitata del risarcimento, la sentenza rappresenta un precedente importante, rafforzando la protezione dei diritti dei terzi coinvolti in procedimenti penali e sottolineando la necessità di valutazioni adeguate nei sequestri preventivi.