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Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli
Mai negli ultimi anni si era creata una tale tensione tra il vertice del Csm e i consiglieri. Una tensione che potrebbe esplodere oggi in plenum, dove è atteso il voto sulla delibera relativa al calendario delle sedute del Consiglio da maggio a dicembre 2023, con la proposta del vicepresidente Fabio Pinelli di proseguire le attività consiliari «senza soluzione di continuità ogni settimana» e smaltire il più possibile l’arretrato.
Ovvero convocare un plenum ogni mercoledì del mese, eliminando la cosiddetta “settimana bianca”, scelta che ha creato una fronda interna al Consiglio, come raccontato da “Domani”, pronta a mettere in minoranza il vertice. Sulla base di una convinzione: «La sua è un’operazione di marketing», data la «sproporzione palese» tra il livello della polemica e il vero oggetto di discussione. «Quella di Pinelli - suggerisce una toga - è un’operazione di immagine», dato che la controproposta non sarebbe quella di lavorare meno, ma di razionalizzare il lavoro. Tradotto: «Pinelli vuol fare la parte di chi fa finalmente lavorare le istituzioni romane. Ma far passare il messaggio che c’è chi vuol lavorare e chi non vuol lavorare è sproporzionato». Ed è proprio questa la spiegazione che arriva da chi ha avuto modo di parlarne con il vicepresidente: la questione non sarebbe politica e nemmeno una lotta intestina al centrodestra, bensì una “dialettica” tra «chi vuole lavorare e chi non vuole farlo».
Se da un lato il vicepresidente del Csm lavora per alzare la produttività del Consiglio in termini percentuali, dall’altro i consiglieri spingono per smaltire il lavoro arretrato nelle Commissioni più in sofferenza. Da qui la controproposta: riservare il quarto mercoledì del mese all’elaborazione delle pratiche e solo se necessario convocare un plenum. Il punto di partenza di tale linea è la relazione del gruppo di lavoro istituito l’8 febbraio scorso per individuare «possibili soluzioni finalizzate a una migliore razionalizzazione di risorse e tempi delle singole Commissioni e della organizzazione del Consiglio superiore della magistratura nel suo complesso», partendo dai dati statistici, secondo i quali le Commissioni più in sofferenza sono Quarta, Quinta, Settima e Ottava.
I numeri sono preoccupanti: per quanto riguarda la Quarta commissione, competente, tra le altre cose, in materia di conferimento delle funzioni giudiziarie e valutazioni di professionalità, l’arretrato rappresenta l’11,3% di quello complessivo. Tale Commissione dovrebbe fronteggiare, nel quadriennio, oltre 8.000 pratiche, alcune delle quali risalenti addirittura al 2011, e 69 sospese, motivo per cui richiedono «un serio lavoro di studio propedeutico alla discussione in Commissione». La Quinta commissione, la più delicata, che si occupa soprattutto del conferimento e delle conferme di incarichi direttivi e semidirettivi, ha un arretrato del 9,4%, smaltibile, secondo la relazione, in 550 giorni se le cose non cambieranno. Un carico di lavoro che conta, tra le altre cose, 123 coperture di posti direttivi e 151 di posti semidirettivi.
Per quanto riguarda la Settima, competente in materia di organizzazione degli uffici giudiziari, l’arretrato rappresenta il 34,2% di quello complessivo, con una previsione di 35mila pratiche da affrontare nel quadriennio, senza considerare il lavoro da svolgere per scrivere la nuova circolare sugli incarichi direttivi e semidirettivi. L’Ottava, infine, registra un arretrato del 19,2% e circa 15mila pratiche da smaltire nei prossimi quattro anni. All’interno del gruppo di lavoro erano maturati due orientamenti, uno che prevede il plenum anche il quarto mercoledì del mese e un altro, quello prevalente, secondo il quale, almeno fino al 31 dicembre, la seduta plenaria può essere prevista soltanto come eventuale, con lo scopo di ridurre le pratiche critiche risalenti e abbattere le pendenze. Piano al quale affiancare un monitoraggio periodico dei dati statistici e delle pratiche critiche, per poi rivalutare il calendario a inizio 2024.
L’idea, insomma, è che «quattro plenum al mese non servono a nulla se mancano le materie da portare in Consiglio», spiega un’altra fonte togata. Da qui appunto la proposta di convocare l’Assemblea «solo se ritenuto necessario», dedicando la quarta settimana alle Commissioni in affanno. Anche perché se tutte le Commissioni lavorano contemporaneamente, dal momento che i componenti del Consiglio sono presenti in più Commissioni, l’effetto sarebbe quello di ingolfare la macchina. «Il problema vero del Consiglio è aumentare la capacità di produzione - continua la fonte -: il vero collo di bottiglia è preparare il materiale per la Commissione e poi redigere le bozze di delibera, per le quali a volte passano mesi». La soluzione, secondo alcuni, sarebbe quindi mettere a lavoro sulle delibere gli stessi consiglieri, assieme ai propri assistenti, ad esclusione delle pratiche più delicate - come quelle relative alle nomine -, così come sta già facendo la Settima Commissione.
La polemica, deflagrata sui giornali, è stata accolta con sorpresa dagli stessi componenti del Consiglio. Se alcune toghe si dicono indispettite per il sospetto che ci sia chi vuole imboscarsi, altre minimizzano - «si tratta di un argomento di troppo modesto interesse per farlo finire sulla stampa» -, mentre altri ancora riconducono tutto alla presunta “fame di visibilità” di Pinelli, che sarebbe malvista soprattutto dai laici.
In particolare, stando alle voci interne a Palazzo dei Marescialli, da quelli di Fratelli d’Italia, che mal digerirebbero il taglio «dirigista» del vicepresidente. E soprattutto la sua «proiezione massmediatica», enfatizzata dalla lettura della lettera di apprezzamento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per l’incremento della produttività del Csm, quantificato nel 30%. «Ma è un incremento che tiene conto solo della quantità non della qualità», continua la fonte, considerato che il numero di delibere approvate è sì aumentato esponenzialmente, «ma si tratta di roba che si vota in tre secondi, voglio vedere se accadrà lo stesso con le delibere di Quinta Commissione».
Insomma, a molti è apparsa «fuori luogo» e «prematura» la comunicazione di dati che certificano un successo sì innegabile, ma fittizio, a fronte dell’effettiva mole di lavoro che il Csm si trova a dover affrontare.