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Rigore nella tutela dei diritti, equo accesso alla giurisdizione. E poi: necessità di adeguare risorse e strutture, ancor più evidente con l’entrata in vigore delle riforme; rischio di una graduale marginalizzazione del diritto di difesa. E ancora, citando testualmente, un nuovo processo segnato da «riti disseminati di decadenze, oneri, spettri di inammissibilità che rendono l’ambito di operatività inquinato da troppe variabili».
Sono i temi, solo una parte a dire la verità, lanciati dalla presidente del Consiglio nazionale forense, Maria Masi, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Cnf.
Un programma che da solo impegnerebbe un’intera legislatura e che rischia, come spesso capita, di essere ignorato, sopraffatto dalle “emergenze” – reali o immaginarie – sistematicamente anteposte dal governo di turno. Come se la giustizia non fosse un’emergenza.
Per questo motivo la presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stata di straordinaria importanza. Garante dei valori e dei principi costituzionali – oltre che finissimo giurista – il Capo dello Stato ha rappresentato un sigillo al più alto livello istituzionale non solo sull’anno giudiziario del Cnf, ma sulla stessa centralità dell’avvocatura nella giurisdizione e nella vita democratica del Paese.
Dunque una presenza tutt’altro che formale ma ricca di significati: il Capo dello Stato non si muove mai per mera “cortesia” istituzionale. Quando l’apparato del Quirinale si mobilita per una visita ufficiale lo fa perché riconosce implicitamente il valore sostanziale e formale di chi lo ospita.
Quella poltrona in prima fila ha rappresentato l’ennesimo riconoscimento – di certo il più alto – del ruolo dell’avvocatura come attore centrale della giurisdizione, e come istituzione responsabile del Paese.
Una responsabilità sottolineata dalla stessa presidente Masi quando ha ricordato la postura istituzionale tenuta dell’avvocatura anche di fronte a riforme che spesso non ha condiviso. Una responsabilità, però, che mai è diventata accettazione acritica di riforme che rischiano di indebolire i diritti dei cittadini. «L’avvocato vigila sulla conformità delle leggi», ha infatti ricordato la presidente Masi rinfrescando le idee a quanti credono che il ruolo dell’avvocatura debba essere quello di mero spettatore della battaglia politica sui temi della giustizia. Chi rappresenta i cittadini nelle aule dei tribunali ha il diritto e il dovere di criticare riforme che rischiano di indebolire i loro diritti, le loro garanzie.
Allo stesso modo l’appello a una unità di intenti con la magistratura lanciato sempre da Masi ha sì il significato di stringere un patto di rispetto e riconoscimento reciproco, ma senza per questo dimenticare o “passare sopra” le sgrammaticature di chi in questi anni si sia lasciato sedurre dalla battaglia contro la presenza degli avvocati nei Consigli giudiziari, quasi a riaffermare un anacronistico monopolio sul “governo” della giurisdizione: «L’avvocatura che esprime un parere in seno ai Consigli giudiziari ha allarmato più del rischio di fallimento delle riforme e di non conseguimento degli obiettivi a cui siamo vincolati e attinti», ha infatti ricordato la presidente Masi. Insomma, una mano tesa alla ricerca di un dialogo ma anche una richiesta di riconoscimento e rispetto.
Insomma, alleanza responsabile sì ma senza alcuna forma di subordinazione o soggezione nei confronti della nostra magistratura.
Ma quel che più conta oggi, e vale la pena ripeterlo, è la presenza del Capo dello Stato che ha assistito all’evento istituzionale più significativo della nostra avvocatura. Si tratta di una nuova importante vittoria in una partita difficile ma entusiasmante.