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IMAGOECONOMICA
Pubblichiamo l’articolo del 2014 a firma del professor Vincenzo Zeno-Zencovich, un paradosso “semiserio” che affronta col dono dell’ironia il vero e proprio “assalto” che in questi anni hanno subito quei giudici che osano assolvere.
Da una «talpa» nei Palazzo riceviamo, in anteprima, la relazione ad un importante disegno di legge che verrà presentato a giorni in entrambi i rami del Parlamento da un impressionante (oltre 200!) numero di deputati e senatori sia della maggioranza che dell'opposizione.
ONOREVOLI COLLEGHI, ONOREVOLI SENATORI
Alcuni recenti fatti di cronaca, nella loro clamorosa gravità, hanno messo in luce come non sia più procrastinabile un intervento legislativo che stronchi alla radice una mala pianta che continua a proliferare, come un tumore, in questa nostra malata Giustizia.
Ci riferiamo alle assoluzioni pronunciate dalle Corti d'appello di Roma e dell'Aquila nei confronti dei responsabili della bestiale uccisione del giovane Stefano Cucchi; e dei componenti la Commissione «Grandi rischi» che facilmente avrebbero potuto evitare quella strage di giovani nel terremoto abruzzese.
La gravità della condotta di chi li ha assolti è accresciuta dal fatto che gli imputati sono stati liberati dalla giusta condanna che era stata loro inflitta in primo grado.
Le ragioni per le quali riteniamo indispensabile ed urgente l'introduzione nel nostro ordinamento, da sempre all'avanguardia, del «reato di assoluzione» sono in primo luogo giuridiche. La assoluzione in appello — e lo dimostrano inconfutabilmente i casi appena citati — costituisce uno sfregio a due principii di civiltà giuridica su cui si fonda il nostro sistema. Il primo è quello del ne bis in idem: una volta che un incolpato sia stato condannato dal Tribunale dell'opinione pubblica e tale sentenza sia stata suggellata da una decisione giudiziaria, è inconcepibile che si possa instaurare un nuovo processo, il quale — anche astrattamente — potrebbe alterare quel sentimento popolare di colpevolezza che è ormai patrimonio della pubblica opinione.
Il secondo principio è quello della «cosa giudicata», il quale prevede la immutabilità di decisioni regolarmente e pubblicamente assunte, sempre dal Tribunale dell'opinione pubblica, le cui pronunce non possono essere ridicolizzate da una qualsiasi Corte d'appello. La quale, peraltro, si arrogherebbe poteri di grazia
e di commutazione della pena che solo al Presidente della Repubblica spettano.
Bene, benissimo, dunque, ha fatto il Presidente del Senato a ricevere, a poche ore dalla scandalosa sentenza assolutoria, i familiari di Stefano Cucchi, mandando così un chiaro segnale di riprovazione ai giudici della Corte d'appello e un monito a quelli della Cassazione che, a breve, saranno chiamati a riesaminare il caso e che vanno preventivamente dissuasi dal perseverare nella condotta criminale.
E qui viene la seconda ragione di questo disegno di legge, quella della finalità di prevenzione generale, onde porre fine ad un fenomeno ormai dilagante. Negli ultimi mesi abbiamo assistito, sgomenti, alla assoluzione degli stilisti Dolce e Gabbana rei di frode fiscale. E — indicibile vergogna! — alla assoluzione in appello di un noto politico condannato in primo grado per i suoi turpi festini nella sua villa alle porte di Milano. E potremmo risalire nei tempi, fino alla madre di tutti gli scempi, l' assoluzione, sempre in appello, del cinico mercante di morte Enzo Tortora, aduso a smerciare chili di cocaina nei camerini dei teatri dove si esibiva.
Il reato di assoluzione, da inserirsi nel Codice penale nel Titolo III sui Delitti contro l'amministrazione della Giustizia all'art. 373 bis (prima del reato di frode processuale), richiede di essere adeguatamente sanzionato. Seguendo le prevalenti e civilissime prassi del nostro Paese, riteniamo che accanto ad adeguate pene edittali (dai 4 ai 7 anni), sia necessario prevedere:
a)misure cautelari specifiche consistenti nella immediata sospensione del giudice dalle proprie funzioni, onde evitare la reiterazione di siffatti delitti da parte di soggetti con una chiara propensione a delinquere;
b)tali misure cautelari devono poter essere disposte dal Pubblico ministero di udienza ove ravvisi nel comportamento, nei precedenti, dei giudici, seri e gravi indizi di tendenze assolutorie;
c)in ossequio alla cultura del «diritto mite» e del «pentimento» deve essere previsto uno specifico caso di non punibilità legato al ravvedimento operoso del giudice che desista dalla devianza assolutoria, pronunciando in conformità alle richieste della pubblica accusa, ovvero per il componente il collegio giudicante il quale pubblicamente si dissoci dalla decisione della maggioranza di suoi colleghi.
Onorevoli Colleghi! siamo convinti di poter trovare il vostro pieno sostegno a questa indilazionabile riforma per la quale intendiamo chiedere la procedura d'urgenza avanti le competenti Commissioni in sede legislativa, onde sia legge dello Stato il principio che chi assolve, delinque.