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PIER ANTONIO PANZERI POLITICO PARLAMENTARE EUROPEO
Atti «non suscettibili di approfondimenti», dal momento che le persone informate sui fatti «non hanno riferito nulla di più al fine di contestualizzare quanto genericamente affermato». Non sono bastate le parole del super pentito Pier Antonio Panzeri, l’ex eurodeputato pilastro dell’inchiesta sul presunto scandalo di corruzione denominato Qatargate. La gip di Milano Angela Minerva ha infatti archiviato l’indagine a carico dell’ex segretaria generale della Cgil Susanna Camusso, che era stata tirata in ballo proprio da Panzeri con l’ipotesi di corruzione internazionale.
Camusso era stata iscritta sul registro degli indagati dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e dalla pm Cecilia Vassena dopo che la procura federale belga aveva trasmesso in Italia alcuni dei verbali di Panzeri, secondo cui nel 2018 il Qatar avrebbe voluto finanziare la campagna di Camusso alla presidenza del sindacato mondiale dei lavoratori. Stando alle parole di Panzeri, i qatarioti volevano “comprare” il consenso dei sindacati per ammorbidire le forti critiche rivolte al loro Paese per le condizioni dei lavoratori. Da qui il tentativo del dignitario del Qatar, Ali bin Samikh Al Marri, che all’epoca era presidente della Commissione per i diritti umani, di agganciare Camusso.
Secondo Panzeri, a condurre la trattativa sarebbe stato l’assistente della sindacalista, che ad Al Marri avrebbe confermato la disponibilità della leader della Cgil a sposare la sua causa per “soli” 50mila euro. Soldi che, secondo il super pentito, sarebbero stati poi effettivamente consegnati all’assistente di Camusso. Di tutto ciò, però, non ci sono prove: per la giudice, come già avevano evidenziato i due pm, «l’atto genetico del procedimento» con «le affermazioni in merito a non meglio precisate “manovre” che sarebbero state effettuate da Pier Antonio Panzeri per “appoggiare Susanna Camusso” non era inizialmente supportato da alcun riferimento concreto e specifico ad atti di indagine» e l’integrazione di atti richiesti e ricevuti dagli inquirenti belgi sono risultati «assolutamente generici e non suscettibili di approfondimenti», dal momento che le persone informate sui fatti «non hanno riferito nulla di più al fine di contestualizzare quanto genericamente affermato».
Si tratta, dunque, dell’ulteriore conferma in negativo per il principale teste dell’inchiesta Qatargate, diventata ormai una scatola vuota e arenata alle affermazioni sparate in prima pagina nei primi mesi dell’inchiesta, quando diversi politici finirono agli arresti facendo tremare il Parlamento europeo alle fondamenta. A incastrare gli europarlamentari finiti in cella soprattutto le dichiarazioni di Panzeri, la cui credibilità è stata, però, fortemente minata da alcune circostanze: in primo luogo le presunte pressioni degli inquirenti, che lo avrebbero - stando alla difesa di Panzeri - costretto a confessare in cambio della scarcerazione della moglie e della figlia, e in secondo luogo l’ammissione dello stesso capo degli investigatori del Qatargate, che in un audio registrato da Francesco Giorgi, ex braccio destro di Panzeri e marito dell’ex vicepresidente dell’Europarlamento Eva Kaili - incastrata proprio dalle dichiarazioni di Panzeri - ha dichiarato di non credere ad una parola di quanto affermato dall’uomo chiave dell’inchiesta. Inchiesta ferma in attesa che un Tribunale certifichi la regolarità delle indagini.
Per quanto riguarda le pressioni, a parlarne sono stati Laurent Kennes e Marc Uyttendaele, con un documento depositato in procura. Il 9 dicembre 2022, giorno degli arresti, Panzeri si trovava davanti agli inquirenti senza avvocato, nonostante il tentativo insistente dei suoi legali di essere informati su quando sarebbe stato ascoltato. In un primo momento Panzeri negò l’esistenza di qualcosa di simile al Qatargate. «Ho svolto un lavoro informale per un Paese che si chiama Qatar - aveva spiegato - quando ho posto fine alla mia attività di parlamentare e sono diventato un cittadino ordinario senza più alcun obbligo istituzionale. Il Qatar mi ha chiesto di svolgere un’attività di consulenza e io ho risposto affermativamente». Ma tutto in nero, questi i patti. «Io, probabilmente facendo un errore, ho accettato», aveva ammesso. Il tutto per 17mila euro lordi al mese, che in tre anni fanno 612mila euro, più o meno quello che i servizi hanno trovato in casa sua. «Ammetto di non aver pagato le tasse», sottolineò, per poi aggiungere: «Non ho corrotto nessuno».
Solo al termine dell’interrogatorio gli inquirenti gli rivelarono che sua figlia e sua moglie erano state arrestate. All’ex eurodeputato fu fatta così una promessa: una pena di soli sei mesi e moglie e figlia libere in cambio dei nomi coinvolti nella Tangentopoli europea. Panzeri, stremato, fece due nomi, tra i quali quello dell’eurodeputata belga Maria Arena. Nomi che, però, per qualche motivo non andavano bene. Così gliene furono chiesti degli altri, mentre qualsiasi coinvolgimento della politica belga venne negato. Da lì il crollo e la “confessione”, facendo nomi su nomi, per i quali però, dicono gli stessi atti nero su bianco, non ci sono riscontri fattuali.
Che la credibilità di Panzeri sia traballante è un fatto di cui gli inquirenti sono consapevoli, stando alle parole pronunciate dal capo degli investigatori Ceferino Alvarez Rodriguez a casa di Giorgi. «Non crediamo a niente di quello che dice. Sappiamo benissimo che ci sta prendendo in giro, lo sappiamo. Ma esploderà tutto. E lui si assumerà le sue responsabilità», aveva detto il 3 maggio scorso dopo essere piombato a casa di Giorgi - che registrò tutto di nascosto - con la scusa di restituire quanto sequestrato pochi giorni prima. Un vero e proprio blitz, secondo l’avvocato Pierre Monville, che ha poi depositato l’audio - che il Dubbio ha avuto modo di ascoltare - presso l’ufficio del procuratore federale Raphael Malagnini. Parole poco credibili le sue, dunque. Peccato, però, che sono state proprio le parole di Panzeri a far finire in carcere alcuni degli indagati. Come Marc Tarabella, eurodeputato belga di cui Panzeri inizialmente non aveva fatto il nome. «Tra il primo e il secondo interrogatorio - aveva ammesso placido l’ispettore - si dimentica di parlare di Tarabella. Nel frattempo ha accesso al fascicolo, vede che abbiamo interrogato Tarabella. Seconda videoconferenza cosa fa? “Guardate, vorrei aggiungere ancora qualcosa su Tarabella”. E lì comincia a parlare di Tarabella».