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Una pantomima. È questo, a conti fatti, quello che rimane del Qatargate, un’indagine nata per scoprire l’evasione fiscale compiuta da Pier Antonio Panzeri e diventata, come per magia, un’inchiesta per corruzione. E ciò pur non essendo perseguiti i corruttori e mancando la prova dello stesso reato. Un’indagine nella quale le violazioni delle norme sono all’ordine del giorno e che s’incaglia sul nome che “non s’ha da fare”, quello dell’eurodeputata Maria Arena, il più ricorrente nei verbali del maxi pentito Panzeri, che ne ha parlato fin quando non gli è stato chiesto di fare altri nomi e di parlare di corruzione, con la promessa di scarcerare sua moglie e sua figlia.
Che ci sia stata l’intenzione di tutelare Arena - i cui legami con il giudice Michel Claise hanno portato quest’ultimo ad abbandonare l’inchiesta - è evidente. Il verbale con le intercettazioni di Arena, che il Dubbio ha avuto modo di visionare, viene infatti messo sotto embargo dal giudice Claise per non consentire alle parti coinvolte di consultarlo e viene aggiunto al fascicolo dalla giudice Aurélie Dejaiffe con un anno di ritardo, nel luglio 2023. A quel punto Claise ha già lasciato l’indagine, dal momento che le difese hanno già svelato il legame tra il figlio del magistrato e il figlio di Arena, che insieme hanno una società che commercializza cannabis legale. Un conflitto di interessi da evitare, dunque. Ma intanto l’inchiesta risulta già inquinata.
«Se ci sei tu allora io raccolgo più soldi», dice Antonio Panzeri ad Arena in un’intercettazione. L'europarlamentare socialista belga è ancora al suo posto in Parlamento e nel gruppo dei socialisti. Una sorte un po’ diversa rispetto a quella patita dall’ex vicepresidente Eva Kaili, finita in carcere, lontana dalla figlia, “licenziata” dal ruolo di numero due di Roberta Metsola ed espulsa dal suo partito e dal gruppo. Il nome di Arena è tra i primi segnalati dai servizi segreti. Che violando la sua immunità intercettano le conversazioni in cui dice all’ambasciatore di Rabat in Polonia, Abderrahim Atmoun, che suo figlio Ugo Lemaire sta per intraprendere un viaggio in Marocco. Il diplomatico si mette a disposizione: Ugo potrà chiamarlo e «dire di avere uno zio ambasciatore».
Le generalità di Ugo Lemaire, contrariamente a quelle degli altri personaggi coinvolti, non vengono riportate con precisione. Manca la data di nascita. Un caso, forse, ma ambiguo, alla luce di tutte le altre “sviste” che hanno sicuramente favorito la posizione di Arena. A casa di suo figlio vengono scoperti 280 mila euro in contanti, ma nessuno della famiglia dell’europarlamentare subirà conseguenze. Contrariamente a Kaili, che pur non essendo mai stata attenzionata - i servizi segreti dichiarano di non avere elementi per ritenerla coinvolta in un caso di corruzione - viene arrestata dopo che il padre viene intercettato con una valigia contenente 600 mila euro. Su quei soldi non ci sono le impronte dell’ex vicepresidente. Ma in carcere proveranno comunque a farle confessare il suo coinvolgimento e quello di altri colleghi, che lei negherà sempre.
Stando alle intercettazioni, Panzeri avrebbe consegnato ad Arena un Rolex, probabilmente donato dal ministro degli Esteri del Qatar, e una collana. Nella stessa conversazione, Panzeri dichiara di aver inserito il figlio di Arena nella Coppa del mondo in Qatar. Ma non solo: secondo i servizi segreti del Belgio, Arena sarebbe stata coinvolta nei calcoli del compenso del Qatar per il lavoro svolto da Panzeri a loro favore e sembra «svolgere compiti/progetti direttamente per conto del ministro del Lavoro del Qatar Alì Bin Samikh Al Marri, che è preoccupato per lo stato di avanzamento del incarichi/progetti affidati ad Arena Maria con Panzeri». Inoltre, annotano ancora i servizi, Arena «pubblica/twitta in collaborazione con Visentini Luca (segretario generale della Confederazione internazionale dei sindacati, ndr) informazioni positive in favore del Qatar nel quadro dei diritti dei lavoratori». Panzeri, infine, «precisa chiaramente che grazie all'aiuto/lavoro svolto da Arena Maria “raccoglie” denaro».
L’inchiesta, come scritto da La Libre, non riguardava, inizialmente, un giro di corruzione, ma l’evasione fiscale sin da subito confessata agli inquirenti da Panzeri, che ha cambiato versione solo dopo le pressioni degli inquirenti. Panzeri al momento dell'arresto ha infatti dichiarato di essere un lobbista. In un documento del 13 luglio 2022, gli inquirenti chiarivano di stare indagando su una «rete composta da un lobbista e da dei deputati» all’interno delle istituzioni europee, rete che avrebbe lavorato a favore di diversi paesi, tra cui il Qatar.
La corruzione viene ipotizzata quando il fascicolo passa alla procura federale, che avrebbe dovuto trasferire tutto alla procura europea, rimasta invece a bocca asciutta. Cosa che, secondo La Libre, avrebbe fatto infuriare gli stessi magistrati europei, una squadra nata proprio per indagare su casi come il Qatargate. Il fascicolo era forse troppo succoso per lasciarlo ad altri. Ma presto, lo stesso si è trasformato in una vera e propria patata bollente. E dopo l’addio di Claise per conflitto di interessi e quello di Raphael Malagnini per passare alla Corte dei conti del lavoro di Liegi, ora, non c’è nessuno che voglia mettere mano al fascicolo.
Che non si tratti di corruzione sembra chiaro da tre elementi. In primis, i deputati hanno diritto a svolgere attività retribuite parallelamente al mandato parlamentare purché sia dichiarata. Cosa che Panzeri non ha fatto, da qui l’evasione fiscale. A ciò si aggiunge il fatto che non esiste alcun voto che risulti sbilanciato a favore di Marocco e Qatar e frutto di un’azione corruttiva. Infine, il Belgio ha revocato il mandato d’arresto per coloro che sono considerati i principali “corruttori”. Insomma, il Qatargate è una nave che affonda.