PHOTO
Se ancora ci fosse bisogno di indizi per concludere che la posta in gioco sull’abuso d’ufficio è tutta politica nel senso più tipico del termine, si può citare l’audizione di un procuratore della Repubblica, il capo dell’Ufficio inquirente di Santa Maria Capua Vetere Pier Paolo Bruni, dinanzi alla commissione Giustizia del Senato. Nel suo intervento di martedì scorso a Palazzo Madama, dov’è in corso l’esame del ddl Nordio, il magistrato da una parte ha riconosciuto che «rispetto ad alcune fattispecie astratte del diritto penale, il cittadino può trovare difficoltà nel distinguere la condotta lecita dall’area suscettibile di sanzione». Così, per Bruni, sarebbe effettivamente opportuno precisare meglio l’articolo 323, che definisce appunto l’abuso d’ufficio, con un riferimento «mutuabile dall’articolo 7 del dpr 72 del 2013, in base al quale la punibilità del pubblico ufficiale è possibile nei casi in cui, nella scelta di un affidamento o di un soggetto beneficiario, quell’amministrazione non sia terzo». Ammette dunque, il procuratore di Santa Maria Capua Vetere, che una migliore tipizzazione dell’abuso d’ufficio sarebbe utile, nonostante il governo Conte sia già intervenuto a modificare il reato appena tre anni fa.
D’altra parte, Bruni si esprime in modo apertamente critico sull’idea che il 323 venga del tutto soppresso. «Si creerebbero diversi problemi. Si pensi ai concorsi pubblici truccati, il cui bando è cucito sul profilo di un candidato che si intende deliberatamente favorire, nonostante non sia il migliore. Sono distorsioni», fa notare il magistrato, «che alcuni uffici giudiziari hanno tentato di ricondurre all’articolo 353 bis, soluzione che però è stata bocciata dalla Suprema corte». Aggiunge ancora il procuratore: «Se le procedure di appalto e gara per le quali sia prevista la concorrenza fra più partecipanti è eventualmente assistita da altre norme, un’eventuale abrogazione dell’abuso d’ufficio lascerebbe privi di contrasto gli affidamenti diretti che il pubblico amministratore concede a un’impresa non perché sia la migliore ma per le relazioni che intercorrono tra lui e il titolare dell’impresa. Parliamo di affidamenti per opere e servizi anche da decine di migliaia di euro».
È un quadro chiaro. Come lo era quello descritto da altre voci contrarie (Giorgio Lattanzi) o comunque perplesse (Vittorio Manes) rispetto all’abolizione dell’abuso d’ufficio. Si rischia, certo, di lasciare sguarnite da sanzione penale alcune condotte. Ma proprio il riferimento di Bruni agli affidamenti di opere ricorda come sull’altro piatto della bilancia vi sia la necessità di un’azione amministrativa rapidissima, in particolare in una fase in cui, entro giugno 2026, andrà completato il Pnrr, pena l’addio a miliardi di risorse. È la politica a dover decidere se vale la pena di scommettere sulla fiducia in chi gestisce risorse pubbliche o persistere nell’intransigenza della norma penale, col rischio però che altre risorse pubbliche si perdano per sempre.