MICHELE AINIS

Il costituzionalista Michele Ainis spiega che «il fulcro della discussione che eventualmente si farà sul presidenzialismo dovrà essere l’importanza dei contropoteri, perché la democrazia, diceva Montesquieu, è potere che arresta il potere» e dà una propria interpretazione dell’articolo 138 della Costituzione: «non sappiamo come sarà composto il prossimo Parlamento - commenta - ma dovrebbe essere acclarato che una riforma di sistema non possa prescindere dal consensi dei cittadini attraverso referendum». Sui tempi di un’eventuale riforma è netto: «se proprio si decidesse di passare al presidenzialismo - dice - sarebbe bene farlo a fine legislatura, e non all’inizio, proprio per non delegittimare il presidente della Repubblica in carica».

Professor Ainis, cosa significherebbe una riforma costituzionale in senso presidenziale nel nostro paese?

Presidenzialismo è una parola che può contenere cose diverse. C’è un sistema negli Stati Uniti, ce n’è un altro diverso in Francia, e ci sono caricature di presidenzialismo in alcuni stati sudamericani. È un regime presidenziale pure quello della Russia di Putin. Bisogna quindi capire come verrebbe declinato in concreto questo sistema, la cui architrave è certamente l’elezione diretta del presidente della Repubblica, ma dovremmo anche vedere cosa fa poi in concreto questo “nuovo” presidente.

Ci sono diverse ipotesi sul tavolo, su cosa ci si dovrebbe maggiormente concentrare secondo lei nella stesura di una riforma presidenziale?

Credo che il fulcro della discussione che eventualmente si farà debba essere l’importanza dei contropoteri, perché la democrazia, diceva Montesquieu, è potere che arresta il potere.

Quando si gonfia il petto di un organo costituzionale, si devono anche gonfiare i muscoli dei suoi dirimpettai. Non a casa negli Stati Uniti c’è sì un presidente forte, ma c’è un Congresso altrettanto forte e c’è un potere giudiziario che scandisce la vita politica oltre che costituzionale. Certamente, quindi, la riforma non potrà contenere soltanto l’elezione diretta del presidente della Repubblica ma anche un diverso ordinamento istituzionale.

Quante possibilità ci sono secondo lei che il centrodestra ottenga i due terzi dei seggi, necessari a cambiare la Costituzione senza passare per il referendum?

Non sappiamo come sarà composto il prossimo Parlamento ma dovrebbe essere acclarato che una riforma di sistema non possa prescindere dal consensi dei cittadini attraverso referendum. Di piccole riforme ne sono state fatte, da ultimo quella sull’insularità, quindi si possono fare riforme di dettaglio cucinate e digerite in Parlamento. Ma quando si tratta di un cambio sistema ci dovrebbe essere una sorta di obbligo costituzionale di arrivare a referendum, anche se al momento l’articolo 138 consente di non consultare gli elettori.

Quindi servirebbe una sorta di riforma dell’articolo che consente di riformare la Carta?

Non credo, ma penso che se questa riforma si farà sarebbe uno strappo farla soltanto in Parlamento, anche se il centrodestra dovesse avere i due terzi dei seggi. Per ovviare a questo problema, basterebbe evitare di coagulare in seconda votazione i numeri tali da bypassare il referendum, anche quando ci fossero. Se, ad esempio, la votassero Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e il terzo polo, qualcuno di loro dovrebbe in seconda votazione votare scheda bianca per permettere di celebrare il referendum.

Ieri l’uscita di Berlusconi su Mattarella ha scatenato un putiferio: l’attuale presidente della Repubblica dovrebbe dimettersi in ogni caso, una volta approvata una riforma in senso presidenziale?

Ho già prefigurato uno scenario simile. Se si farà una riforma in senso presidenziale, questo finirà per diventare un benservito a Mattarella. Delle due l’una. O la riforma stessa prevede l’interruzione del mandato del presidente in carica, anche perché attualmente è un organo di garanzia mentre quello nuovo sarebbe un organo politico, oppure la riforma potrebbe stabilire con delle norme transitorie la sua entrata in vigore posticipata, mettendo però in evidente imbarazzo l’attuale capo dello Stato.

Dunque, come si potrebbe arrivare a una soluzione adeguata?

Se proprio si decidesse di passare al presidenzialismo - che ricordiamolo trova consensi anche a sinistra e non solo a destra, basti pensare a D’Alema e Renzi - sarebbe bene farlo a fine legislatura, e non all’inizio, proprio per non delegittimare il presidente della Repubblica in carica. Anche perché se si arrivasse a fine legislatura, saremmo quasi alla fine del mandato presidenziale, e l’eventuale imbarazzo diminuirebbe.

Renzi ha proposto l’elezione diretta non del presidente della Repubblica, ma di quello del Consiglio. È una strada percorribile?

Mi pare che questo sistema non ci sia da nessuna parte al mondo. Forse l’avevano sperimentato in Israele, ma non è un caso se non c’è da nessuna parte. Ciò che non mi trova d’accordo invece rispetto alla proposta di Fd’I è che il nuovo presidente della Repubblica, che ha potere di governo alla francese e sarebbe eletto dai cittadini, presidierebbe anche il Consiglio dei ministri, recitando di conseguenza due parti in commedia.

E questo, come detto, sarebbe un rischio per la tenuta della democrazia… Non vorrei essere volgare, ma se è vero che le poltrone si possono raddoppiare, questo non vale per la parte del corpo dove ci si appoggia. Nessuno, insomma, può avere due deretani. Si darebbe troppo potere a una sola persona, mentre la cosa importante da fare è bilanciare il sistema.

Sull’approvazione della riforma senza referendum

«PENSO CHE SE QUESTA RIFORMA SI FARÀ SAREBBE UNO STRAPPO FARLA SOLTANTO IN PARLAMENTO, ANCHE SE IL CENTRODESTRA DOVESSE AVERE I DUE TERZI DEI SEGGI.

PER OVVIARE A QUESTO PROBLEMA BASTEREBBE EVITARE DI COAGULARE IN SECONDA VOTAZIONE I NUMERI TALI DA BYPASSARE IL REFERENDUM, ANCHE QUANDO CI FOSSERO: DOVREBBE ESSERE ACCLARATO CHE UNA RIFORMA DI SISTEMA NON POSSA PRESCINDERE DAL CONSENSI DEI CITTADINI»