PHOTO
«Scrivere una sentenza non è come diffondere un tweet: la riflessione, e il necessario approfondimento, sono comunque sempre tempo dedicato all’attività giurisdizionale». A dirlo è il togato Paolo Criscuoli - eletto al Csm per Magistratura indipendente all’indomani del convegno intitolato “Dignità della persona e fine vita”, organizzato dal Consiglio superiore.
Il tema del “fine vita” impegna l’ordine giudiziario al pari della politica, che al momento pare assai divisa. La legge sollecitata anche dalla sentenza della Coprte costituzionale, che non attenderà oltre il settembre prossimo per pronunciarsi sul caso Cappato- Dj Fabo, vede non del tutto in sintonia i due alleati di governo, con il Movimento 5 Stelle favorevole e la Lega più fredda.
Non a caso la discussione sul testo procede con un ritmo tutt’altro che impetuoso: si è iniziato a fine gennaio con l’esame congiunto nelle commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera e non è ipotizzabile una calendarizzazione in Aula se non di qui ad almeno un mese. Uno stallo che allarma appunto i magistrati, insofferenti di fronte a una situazione che li ha visti costretti a un’impropria supplenza.
Consigliere Criscuoli, con la sua collega Paola Maria Braggion avete voluto che anche al Csm si affrontasse un tema delicato e molto divisivo come il “fine vita”: qual è il significato di questa iniziativa?
Credo che il Consiglio superiore debba farsi promotore, anche su argomenti molto sensibili come appunto il fine vita, di un serio dibattito culturale. C’è un vuoto legislativo, ben evidenziato dalla pronuncia della Corte costituzionale sul caso “dj Fabo”. Il Parlamento è stato sollecitato a intervenire entro il prossimo mese di settembre. Non è nostra intenzione sostituirci alle prerogative del legislatore, ma semplicemente invitare i magistrati alla riflessione su una materia particolarmente sensibile.
Fra i relatori del vostro convegno era presente la vicepresidente della Corte costituzionale Marta Cartabia. La Consulta, ricordiamolo, ha rinviato la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale, inerente l’aiuto al suicidio, all’udienza del 24 settembre 2019.
Il convegno è stato un dibattito aperto fra giuristi e studiosi di altre discipline, sia scientifiche che bioetiche. Un Paese maturo, come l’Italia, deve necessariamente potersi confrontare su questi argomenti senza preconcetti.
Avete voluto coinvolgere molti magistrati.
È stata una iniziativa molta partecipata. Arricchita dalle esperienze dirette testimoniate da colleghi che quotidianamente sono chiamati a decidere su temi delicatissimi.
Si torna a parlare di supplenza da parte delle toghe. Dove non arriva il Parlamento arrivano i magistrati.
Mi auguro che il legislatore provveda quanto prima. In caso contrario si dovrà necessariamente tenere conto dell’attuale impianto normativo.
Secondo i giudici milanesi che hanno sollevato la questione di costituzionalità, la Costituzione e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo garantiscono “all’individuo la libertà di decidere quando e come morire”. Dunque chiedono alla Consulta se è conforme alla Costituzione punire come reato chi non ha istigato, convinto o incoraggiato qualcuno a suicidarsi, interferendo nella sua sfera di libertà, ma ha solo aiutato materialmente una persona che era già autonomamente determinata a farlo.
L’autodeterminazione deve essere vera ed effettiva. Lo Stato deve sempre supportare i soggetti deboli.