Il Parlamento europeo non ha mai risposto a Eva Kaili, sua ex vicepresidente. Che legittimamente chiede da mesi di valutare un’eventuale violazione della sua immunità parlamentare, dato l’arresto subito nell’ambito del Qatargate.

Durante il quale è stata spiata, controllata e monitorata dai servizi segreti, anche se su di lei, come emerge dal fascicolo, non ci fossero indizi che consentissero di ipotizzare un ruolo nella presunta associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Nonostante ciò, la Commissione Juri non ha mai risposto. Ma in compenso i legali del Parlamento hanno prodotto un documento di 12 pagine, in qualità di parte civile nel procedimento, dando il “via libera” all’azione penale. Il tutto ammettendo di non sapere a quali azioni sia collegata la flagranza sulla quale si è basato l’arresto della politica greca, avvenuto il 9 dicembre 2022. Gli avvocati dell’Eurocamera, nonostante quanto denunciato a gran voce anche dal vicepresidente della Commissione Affari costituzionali Giuliano Pisapia (che ha parlato di una brutale aggressione alla democrazia europea), dunque, non ravvisano alcuna violazione dell’immunità di Kaili. E nessun’altra forma di violazione, nonostante la presenza in borghese degli 007 durante le sedute di alcune commissioni. Kaili, il 27 giugno scorso, aveva infatti denunciato di essere stata «monitorata dai servizi segreti durante il periodo in cui ha partecipato alla commissione Pegasus, che stava indagando istituzionalmente sull’esistenza di software illegali che monitoravano le attività di eurodeputati e dei cittadini dell’Unione europea». Ovvero, prima ancora che venisse avanzata qualsiasi richiesta di autorizzazione all’Europarlamento e, dunque, in piena violazione dei Trattati. Che tale “intrusione” ci sia stata lo si comprende dai verbali depositati nei fascicoli d’indagine, dai quali si evince la presenza degli investigatori in Parlamento senza che nessuno sapesse nulla. Kaili non è stata mai convocata per essere ascoltata «e l’avvicinarsi delle elezioni costituisce una flagrante violazione dei principi fondamentali del diritto dell’Ue relativi all’immunità parlamentare dell’Ue e alla democrazia dell’Ue», si leggeva nella lettera inviata alla Commissione Juri dagli avvocati Gonzalo Boye, Christophe Marchand e Sven Mary. Che hanno informato la Corte d’Appello di Bruxelles della richiesta avanzata all’Europarlamento, di fatto “provocando” una sospensione del procedimento giudiziario, le cui udienze sono state rinviate a marzo, in ossequio al «principio di leale cooperazione tra le istituzioni dell’Unione europea».

Il parere dei legali si gioca sui termini: l’immunità copre i parlamentari da procedimenti giudiziari e in questo caso non ce ne sarebbero, dal momento che siamo nella fase delle indagini. Che però comprende atti per i quali, in base alle regole in vigore nei rispettivi Stati di appartenenza degli indagati, sarebbe necessario chiedere un’autorizzazione. I legali del Parlamento sono convinti: «Nessuna indagine penale, salvo un abuso manifesto ( ad esempio se tendesse a bloccare il funzionamento del Parlamento), mette a repentaglio la garanzia di indipendenza che è la ragione stessa dell’esistenza delle immunità». Ritenuta legittima «solo nella misura in cui risponde a un’esigenza pubblica superiore». E in Belgio, come nella maggior parte dei paesi europei, aggiunge la nota, «l’immunità parlamentare non si applica alla fase dell’indagine penale, ma solo alla procedura di merito».

Secondo i legali, non ci sarebbe stato alcun atto istruttorio nei confronti di Kaili «prima della constatazione del flagrante delitto il 9 dicembre 2022». Ma gli avvocati ammettono di non sapere di quali fatti si parli: «Nel presente fascicolo, chi conclude non vede quali siano i fatti “connessi”, come indicati dal pubblico ministero e sui quali sarebbe stata condotta un’istruttoria». Insomma, via libera. Anche se la politica ha deciso di rimanere silente, sperando, forse, di scaricare il tutto sul prossimo Parlamento. Per gli avvocati di Kaili, invece, dagli atti di indagine si evincerebbe chiaramente come la deputata greca sia stata «indagata per la sua attività di parlamentare e non per aver commesso alcun reato» e ciò «almeno dal 15 luglio 2022», come dimostrano i documenti di cui il Dubbio ha dato conto nei mesi scorsi. Ci sarebbe stata, dunque, una violazione delle prerogative parlamentari, anche perché, sottolineano i difensori, l’indagine si è estesa all’attività di «un’intera commissione parlamentare» - ovvero la Commissione Pega, che indaga sugli spyware - e «in nessun momento si sono verificate le circostanze di una presunta flagranza di reato, che sarebbe l'unica eccezione che consentirebbe di revocare la sua immunità» senza che sia necessario attendere il via libera del Parlamento.

L’ex vicepresidente, intanto, ha ribadito a Quarta Repubblica quanto già dichiarato al Dubbio nei mesi scorsi: «Credo che in questa indagine ci siano state delle palesi violazioni della legge europea, mancano del tutto la presunzione di innocenza e l’imparzialità dei magistrati. Sono emersi legami dei giudici con la massoneria, conflitti di interesse, non ci sono state le garanzie che esistono in Italia. Qui c’è stata e c’è solo la presunzione di colpevolezza. Dimostrerò la mia innocenza, non ci sono prove delle accuse che mi rivolgono. Hanno usato me per creare un caso politico», ha sottolineato. «Ci sono delle persone, connesse al conflitto di interesse per cui si è ritirato il giudice istruttore Michel Claise, che non sono state coinvolte in questa indagine, né arrestate né interrogate. Chiediamoci per quale motivo», ha evidenziato, riferendosi all’eurodeputata Maria Arena, il cui figlio è in affari con il figlio di Claise.