Il guardasigilli Carlo Nordio sta cercando una tregua, seppure “armata”, con la magistratura? Non è molto semplice dare una risposta a questa domanda, leggendo le dichiarazioni che il ministro ha fatto ieri al Salone della Giustizia a Roma. Il contesto è noto: lo scontro fra governo da una parte e giudici dall’altre, rei – a detta della maggioranza – di prendere decisioni contro le politiche migratorie dell’Esecutivo.

Da un lato inizialmente Nordio ha picchiato duro contro le toghe, ricordando quanto sarebbe avvenuto a partire dalla stagione di Tangentopoli: «Vi è stata una seconda fase di ’Mani pulite’ in cui, per una retrocessione della politica, la magistratura ha di fatto occupato questo posto, e da quel momento molte decisioni politiche sono state influenzate dalla magistratura, che si è permessa di criticare le leggi.

In un Paese ideale i magistrati non dovrebbero criticare la legge e i politici non dovrebbero criticare le sentenze. Ma dopo Mani pulite questa situazione si è capovolta. Ora bisognerebbe capire chi per primo deve fare un passo indietro, ma visto che questa esondazione è partita dalla magistratura, sarebbero loro a doverlo fare».

Dunque, secondo il guardasigilli, l’origine di tutti i mali dovrebbe essere rintracciato nell’atteggiamento delle toghe, le quali avrebbero agito oltre i poteri assegnati loro, e di conseguenza spetterebbe alla magistratura seppellire l’ascia e accettare le riforme, a partire dalla separazione delle carriere. «Nel momento in cui adotti un codice anglosassone, la separazione delle carriere è una conseguenza inevitabile, altrimenti il sistema si inceppa. E il sistema da noi si è inceppato», ha proseguito il ministro, che poi ha citato Giovanni Falcone, dopo che in questi giorni il suo nome era riemerso ed era stato annoverato sia tra i sostenitori che tra i detrattori della riforma dell’ordinamento giudiziario. «Perché chiamare la legge sulla separazione delle carriere ’ riforma Falcone’? Ho una tale venerazione per lui e per Borsellino da non associare una mia riforma al loro nome», ha detto Nordio. «Tuttavia, soprattutto Falcone si era più volte espresso chiarissimamente sulla necessità di separare carriere».

Il ministro della Giustizia ha proseguito sostenendo che non si sente affatto «accerchiato dai giudici: la grandissima parte dei miei ex colleghi», ha aggiunti, «fa bene il proprio lavoro, anche troppo, facendolo in silenzio». E qui la critica implicita potrebbe essere a quelle che, da Matteo Salvini in poi, vengono definite le ‘ toghe rosse’, i ‘ magistrati comunisti’ che hanno disapplicato il decreto Albania e il decreto Paesi sicuri, ritenendoli in contrasto con la fonte normativa europea, superiore a quella nazionale. Poi però Nordio sembra aver assunto una posizione aperturista, annunciando la sua presenza a un evento di Magistratura democratica, la corrente maggiormente presa di mira dalla politica e dalla stampa orientata a destra in queste ultime, roventi settimane. «Dopodomani parteciperò al congresso di Md, dove farò un discorso di conciliazione e collaborazione. Auspico e sono certo che, al di là delle ovvie differenze di posizione, anche sulle iniziative legislative alle quali siamo vincolati dal mandato elettorale, troveremo l’atmosfera giusta in funzione di ciò che ci interessa massimamente: un funzionamento rapido e moderno della giustizia».

Sicuramente, rispetto a queste iniziative legislative il ministro sa di non poter confidare in un qualche tipo di intesa con l’Anm: il “sindacato” delle toghe più volte ha ripetuto che sulla separazione delle carriere, sul doppio Csm e sull’Alta Corte non ci potranno mai essere punti d’incontro. In ogni caso, Magistratura democratica «ringrazia» Nordio per «l’attenzione», e precisa che il titolare della Giustizia interverrà domenica alla celebrazione dei 60 anni del gruppo associativo, insieme ad altri esponenti politici come Elly Schlein, Maria Elena Boschi, Giuseppe Conte, Pierluigi Bersani, Nichi Vendola, Francesco Paolo Sisto.

Nel pomeriggio di ieri al Salone della Giustizia è intervenuto anche il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, che ha replicato così a Nordio: «Nessuna esondazione, noi non stiamo facendo la guerra a nessuno. Da parte nostra non si può arretrare nell’esercizio della professione: si fanno provvedimenti che hanno una motivazione solida e argomentata. Dopodiché possono essere impugnati o contestati, e ci sono i luoghi opportuni dove farlo. Ma pensare di dover fare un passo indietro nell’esercizio della propria giurisdizione è una cosa che non sta nel cielo né in terra. Chiediamo che non si gridi al comunismo ogni qual volta un Tribunale afferma qualcosa che non piace. Io di tutti questi comunisti nella magistratura non ho sentore».

Il leader del “sindacato” delle toghe ha quindi aggiunto: «I giudici non criticano le leggi: le applicano nei limiti del rispetto delle istituzioni». E ha concluso: «Noi non stiamo facendo la guerra a nessuno, la parte che posso condividere (delle parole di Nordio, ndr) è che c’è bisogno di evitare un clima di scontro e, mi permetto di dire, dovrebbe farlo soprattutto il mondo politico che insorge con proteste che non hanno fondamento ogni qualvolta un Tribunale o una Corte assumono una decisione che non piace».

Difficile stabilire se sia iniziata la distensione fra politica e magistratura. Si scorge, questo sì, un interesse della maggioranza a sfrondare il campo dalle tensioni superflue. Segnali in questa direzione sono arrivati ieri anche dal viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, che nel suo intervento al Salone di Roma ha detto, a propria volta, di essere «contrario alle guerre di religione» e che «se la politica va contro la giustizia e viceversa, chi ne fa le spese è il cittadino». Altrettanto indicativa è l’indiscrezione trasferita dal vertice del Csm a proposito del colloquio fra il vicepresidente Fabio Pinelli e Giorgia Meloni: nell’incontro è stata ribadita, da entrambi, la «fiducia nella magistratura» e, da parte della premier in particolare, «il disinteresse per qualunque polemica con le toghe». Insieme con la «pacificazione» auspicata da Nordio, sembrano in ogni caso tentativi di spegnere l’incendio.