I travestimenti da lupo a Bibbiano? Mai esistiti. Nonostante i titoloni di giornale e le foto della psicoterapeuta Nadia Bolognini appositamente modificate, il “lupo” altro non era se non un innocuo e comunissimo pupazzo comprato all’Ikea, che veniva utilizzato durante le sedute per giocare o simulare scene con le quali i bambini potevano spiegare il loro vissuto.

Il particolare è emerso al Tribunale di Reggio Emilia lunedì, quando Rossella Ognibene, difensore, assieme ad Oliviero Mazza, di Federica Anghinolfi, responsabile del servizio sociale dell’Unione della Val d’Enza e principale imputata del processo Angeli & Demoni sui presunti affidi illeciti, ha tirato fuori dalla borsa il pupazzo, per mostrarlo ad Antonella Tesauri, assistente sociale ascoltata come teste. Tesauri ha confermato di non aver alcuna informazione circa l’utilizzo di un costume o di un travestimento da parte di Bolognini, confermando invece la presenza, presso il centro “La Cura”, di giocattoli con i quali la terapeuta conduceva le sedute con i bambini.

Nonostante ciò, secondo l’accusa (capo 52), Bolognini si sarebbe travestita «da “lupo”, o da altri personaggi “cattivi” tratti da racconti popolari, ed inseguiva» uno dei minori «all’interno del proprio studio (presso la Cura) urlandogli contro ed inseguendolo, col dichiarato fine di “punirlo” e “sottometterlo” (anche con chiaro significato sessuale), associando, al termine del gioco, la figura del “lupo cattivo”». Una fake news, quella del lupo, che aveva colpito anche lo psicoterapeuta Claudio Foti (assolto in abbreviato), che è stato accusato di essersi travestito per spaventare i propri pazienti, tanto da essere stato cacciato da un ristorante emiliano in quanto - disse il ristoratore - «non do da mangiare ad un lupo che rapisce i bambini».

Negli audio delle sedute di Bolognini si sentono la psicoterapeuta e il piccolo N. giocare e parlare dei presunti abusi subiti dal fratellastro - per i quali diceva di provare «rabbia» -, ma anche ridere e urlare. Intercettazioni, ha commentato a margine Mazza, «da ascoltare con estrema attenzione per comprendere il senso di quella concitazione». La vicenda del piccolo N. è venuta fuori a seguito della segnalazione degli insegnanti del bambino: stando ad una relazione di ben cinque pagine scritta dalla scuola, il bambino, di appena 5 anni, era solito toccare se stesso e i compagni nelle zone intime, affermando, su richiesta degli insegnanti stessi, che si trattava di un gioco praticato col fratellastro, assieme ai baci, «quando vanno a letto».

Gli insegnanti hanno comunicato ad entrambi i genitori la situazione, riportando «con chiarezza i continui costanti e preoccupanti peggioramenti del comportamento - si legge nel documento depositato a processo -, i frequenti comportamenti masturbatori verso se stesso e verso gli altri e la grossa regressione rispetto al controllo degli sfinteri. In quella sede è stato più volte sottolineato che il livello di preoccupazione è alto». Ma i genitori, secondo le conclusioni della scuola, «sembrano essere “affettivamente poco preoccupati” ed emotivamente poco protettivi e contenitivi verso» il bambino.

Tesauri, in aula, ha ricordato il momento degli arresti, quando - stando ad un’intercettazione - si era dimostrata sbalordita, dal momento che, a suo dire, il carico dei casi da trattare era talmente tanto da non aver bisogno di «inventarci il lavoro». L’assistente sociale, infatti, non si capacitava di come si potesse ipotizzare un intervento dei servizi finalizzato a costruire casi quando gli stessi «erano sommersi». Tutti gli assistenti sociali finora ascoltati, nonché gli educatori, hanno confermato in aula di non aver mai ricevuto pressioni da Anghinolfi per modificare le relazioni. E l’unica ad aver parlato a Tesauri di sollecitazioni in tal senso sarebbe stata Francesca Magnavacchi, indicata come persona offesa nel processo per il reato di violenza privata.

Secondo l’accusa, Anghinolfi, facendo «indebite pressioni» sulla collega neo-assunta a tempo determinato, avrebbe costretto Magnavacchi «a redigere, nonostante la manifestata contraria volontà della persona offesa, relazioni finalizzate all'allontanamento di minori contenenti circostanze false ovvero omesse circostanze reali». Magnavacchi, però, per quanto ad oggi noto, non ha presentato la querela prevista dalla riforma Cartabia, facendo così decadere l’accusa. L’assistente sociale verrà però sentita come testimone.

In aula, lunedì, è comparsa anche Milvia Vittoria Sala, che ha gestito la casa famiglia che ha ospitato la piccola A. dopo l’allontanamento dai nonni. La donna ha riferito dei pianti sommessi della piccola, pianti che, però, sarebbero stati una costante nella vita della bambina, come segnalato non solo dagli insegnanti, ma anche dall’atto di accusa della procura, secondo cui le «regressioni emotive e gli sbalzi d'umore» erano stati riscontrati nella minore «fin dalla tenera infanzia, come risultato dalla storia clinica» acquisita presso l’Asl.

Fu la stessa bambina a raccontare alla psicologa, accusata di averla in qualche modo plagiata, dei presunti abusi subiti dal compagno della madre, confidati poi anche alla nonna e alla mamma. Abusi di cui, poi, parlò anche a scuola e con gli amici. Fu la madre a riferire il tutto al Tribunale dei Minorenni, presso la quale era in carico fin dal 2012, quando era già stato previsto un allontanamento di madre e figlia dall'abitazione dei nonni. Il servizio sociale aveva tuttavia lavorato affinché la situazione si stabilizzasse e madre e figlia potessero continuare a vivere con i nonni.

Nel 2020 il perito del Tribunale per i Minorenni aveva concluso nella sua relazione affinché madre e figlia arrivassero finalmente a vivere insieme. Ma dopo tre anni questo non è ancora avvenuto. La madre, anche dopo il blitz della Procura di Reggio Emilia, ha infatti continuato a vivere in un’abitazione diversa da quella della figlia, oggi 15enne, collocata ancora presso i nonni insieme al padre, al quale è stato diagnosticato un disturbo borderline, tanto da essere sottoposto, in passato, a trattamento sanitario obbligatorio.