Quando Fabio Pinelli, vicepresidente del Csm, ha convocato la conferenza stampa per relazionare sull’attività svolta nei primi 12 mesi di consiliatura sotto la sua guida, probabilmente avrà pensato che essere il primo a fare questa scelta potesse rappresentare una metafora del messaggio che voleva trasmettere: un deciso cambio di passo del Consiglio superiore nell’ottica dell’efficientismo e della trasparenza. Ma l’incontro con i giornalisti, per il numero due di Palazzo dei Marescialli, si è rivelato in realtà un boomerang. Perché nell’elogiare il nuovo corso della «casa dei magistrati», Pinelli ha accusato il precedente Consiglio di aver esondato rispetto alle proprie funzioni, rappresentando, di fatto, una «terza Camera». Ha dimenticato l’elemento di continuità tra le due consiliature: la presidenza di Sergio Mattarella, che è anche numero uno di Palazzo dei Marescialli. Così, alla fine, il risultato è stato sicuramente diverso da quello sperato: spaccare il Csm, con ben 13 togati che hanno preso le distanze dal “loro” vicepresidente.

Un incidente al quale Pinelli ha cercato di rimediare nel pomeriggio, dopo che era già circolata la notizia della lettera di dissenso: «Non ho mai affermato che il Consiglio abbia in passato tradito il proprio mandato costituzionale», ha dichiarato in una nota, «cosa che peraltro sarebbe stata impedita dall’intervento del Presidente della Repubblica». Il quale, ha puntualizzato il vicepresidente del Csm, «come testualmente affermato nel corso della conferenza stampa ‘ non ha mai consentito o autorizzato una funzione dell’organo che fosse diversa da quella che la Costituzione gli ha assegnato’. Riferendomi alla scorsa consiliatura», ha poi aggiunto Pinelli, «ho dato atto delle difficoltà da cui è stata travagliata, provocate da tentativi di interferenze esterne nel funzionamento dell’organo, che hanno condotto alle dimissioni di cinque consiglieri in carica. Tali traumatiche vicende hanno indotto alcuni commentatori addirittura a ipotizzare lo scioglimento, ipotesi che ho ricordato ma mai condiviso né fatto mia nella conferenza stampa. E non ho fatto alcun riferimento al Vicepresidente dell’epoca. Ho solo rilevato», ha concluso il successore di David Ermini, «che le vicende richiamate hanno obbiettivamente determinato un rallentamento nell’attività che questo Consiglio si è proposto di superare efficacemente».

Ora resta da stabilire se le precisazioni del vertice di piazza Indipendenza basteranno a spegnere l’incendio che intanto si è sviluppato. Un esito certo impensabile, almeno dal punto di vista di Pinelli. Il quale ieri mattina aveva agganciato le proprie dichiarazioni a 30 minuti di slides e numeri, con l’obiettivo di evidenziare un netto miglioramento dell’attività: arretrato recuperato, nomine completate nella metà del tempo, calendario del disciplinare azzerato. Tutto perfetto fino alla conclusione del discorso, quando Pinelli si è lanciato in quella considerazione “di merito”, che vale la pena di citare per intero: «Il Consiglio aveva perso, a nostro giudizio, la funzione propria che la Costituzione gli aveva assegnato - ha sottolineato -, quella di organo di alta amministrazione e non di organo volto ad una impropria attività di natura politica. Il Consiglio non è una terza Camera, è un organo di rilevanza costituzionale, di governo di una funzione che è posta al servizio dei cittadini». Uno «spostamento» che ha portato ad una «riflessione» dalla quale è emersa la «necessità di reimpostare un modello organizzativo di lavoro», che «è stato apprezzato anche dal Presidente della Repubblica». Da qui le domande incalzanti dei giornalisti: c’è, dunque, una responsabilità diretta di Mattarella nelle degenerazioni precedenti culminate nel Palamaragate? Pinelli, che forse voleva solo ribadire l’ovvio, dati gli scandali innegabili, ha tentato di recuperare, ma senza farcela. E senza rispondere a chi, in buona sostanza, chiedeva se si trattasse di una sorta di autodenuncia, dato che il vicepresidente fa le veci del Capo dello Stato quando siede al Csm. «Il presidente della Repubblica non ha mai consentito o autorizzato una funzione dell’organo che la Costituzione non gli ha assegnato, ma non corrisponde a narrazione corretta e franca se non si ricordassero le dimissioni di cinque consiglieri. Quindi qualcosa non ha funzionato. Abbiamo cercato di capire che cosa non avesse funzionato, che impronta dovessimo dare al nuovo Consiglio», ha affermato, «e credo che la direzione che abbiamo intrapreso sia corretta, nell’ambito anche delle fisiologiche diversità culturali». Ma senza troppe velleità: il ruolo del Csm è quello di «governare una funzione, quindi, di offrire servizi ai magistrati sui territori». Proprio per tale motivo è necessario «avere ben chiaro qual è il perimetro dell’intervento anche rispetto alle libere scelte della politica», che deve sentirsi «libera di valutare» se accogliere o meno i pareri del Csm.

La reazione dei togati è arrivata in tarda serata, quando ha iniziato a circolare una lettera a firma di Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Genantonio Chiarelli,

Tullio Morello e Antonello Cosentino di Area, Michele Forziati, Antonino Laganà, Roberto D’Auria e Marco Bisogni di Unicost, Dario Scaletta di Mi, Roberto Fontana ( indipendente) e Domenica Miele di Md. «Non sappiamo su quali basi fattuali e giuridiche il vicepresidente fondi tali discutibili affermazioni - hanno sottolineato -. È certo che noi non le condividiamo minimamente, né in relazione alla lettura del ruolo costituzionale del Csm che esse sottendono, né in relazione al giudizio sull’operato dello scorso Consiglio, che ha dovuto affrontare gravi e delicate vicende mantenendosi sempre nei limiti delle proprie prerogative». Difficile ipotizzare che la frattura interna a Palazzo dei Marescialli potesse arrivare fino a questo punto. Va notato che il gruppo moderato di Magistratura indipendente ha riflettuto, prima di associarsi, con l’adesione di Scaletta, alla nota critica delle altre correnti.

Diversa la posizione del togato indipendente Andrea Mirenda. «Le critiche a Pinelli sono per la verità detta sul Consiglio precedente, non invece per la bugia del cambiamento - ha commentato -. Condivido pienamente le conclusioni del vicepresidente quanto a natura e ruolo non politico dell’organo di governo autonomo. Qualche timida novità, rispetto al passato, sicuramente emerge e va apprezzata. C’è tuttavia ancora moltissima strada da percorrere affinché il Csm sia effettivamente affrancato dalle note logiche lottizzatorie e di sodalità che hanno rappresentato la costante, sino a ieri l’altro, dell’autogoverno, a mio sommesso avviso prima e formidabile minaccia all’indipendenza del singolo magistrato».

Una minaccia apparsa evidente nella selezione dei vertici togati della Scuola superiore della magistratura, che solo ieri sono stati scelti dalla sesta commissione, a distanza di due mesi dalla chiusura delle audizioni e dopo molte polemiche sull’ennesima battaglia tra correnti. I nomi scelti, alla fine, sono diversi da quelli sponsorizzati in prima battuta dai gruppi, forse anche grazie alla lettera dei consiglieri Mirenda, Fontana e Miele, che chiedevano di mettere da parte le vecchie strategie: si tratta di Loredana Nazzicone, consigliere di Cassazione, Roberto Giovanni Conti, consigliere di Cassazione, Gian Andrea Chiesi, addetto all’ufficio del massimario della Cassazione, Roberto Peroni Ranchet, consigliere di Corte d’Appello a Milano, Vincenzo Sgubbi, consigliere di Cassazione, e Fabio Di Vizio, sostituto procuratore della repubblica a Forlì. E a domanda del Dubbio, Pinelli ha negato ogni logica spartitoria: «Il Csm ha per scelta costituzionale diverse anime ha spiegato -. Le diversità culturali e le diverse sensibilità sono un valore, non credo che sarebbe una buona cosa per il Paese avere un Consiglio superiore dalla voce unica. E quindi è evidente che si debbano trovare gli equilibri all’interno di sensibilità culturali anche diverse. Questo non è una battaglia spartitoria, un poltronificio, è cercare di trovare un giusto contemperamento all’interno della direttivo della scuola di formazione della magistratura, che possa offrire ai magistrati in formazione una proposta di carattere formativo che sia una proposta che tenga conto delle diverse sensibilità».

Poche ore dopo la conferenza stampa è stato l’ex vicepresidente David Ermini, colui che ha avuto l’onere di portare a conclusione la consiliatura più complicata della storia del Csm, a replicare. «Nel nostro Consiglio la politica non è mai entrata e non so se tutti possono dire la stessa cosa», ha dichiarato a LaPresse. «Sono arrabbiatissimo - ha poi aggiunto a Dire -, quello che ha detto Pinelli è un’accusa totalmente gratuita. Lui dovrebbe dire innanzitutto chi e come, in base a che cosa muove questa accusa». Uno sgomento condiviso dal Pd: «Dal vicepresidente del Csm ci si aspetterebbe maggior equilibrio. Inaccettabili le critiche e le accuse rivolte a chi ha operato prima di lui in un momento storico difficilissimo, con grande senso di responsabilità - hanno commentato Debora Serracchiani, responsabile Giustizia, Alfredo Bazoli e Federico Gianassi -. L’avvocato Pinelli ricopre un ruolo di grande rilevanza, gettare discredito sull’istituzione che rappresenta denota solo una grave mancanza di sensibilità istituzionale». Ed era ormai troppo tardi quando Pinelli ha provato a smarcarsi: «Non c’è niente da rimproverare a Mattarella - ha concluso -, dicevo che nell’ultima parte il Csm aveva perso il suo orientamento. La Costituzione dice che il Csm è organo di amministrazione della giurisdizione a garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. Poi c’è un sindacato dei magistrati, l’Anm, che fa il proprio compito, noi facciamo un’altra cosa». Sindacato che, nel fine settimana, discuterà delle parole di Pinelli.