La decisione del Tribunale di Roma, che non ha convalidato il trattenimento in Albania di 12 migranti provenienti da Egitto e Bangladesh, è stata presa tenendo conto dell’orientamento della Corte di giustizia dell’Unione europea. «Una sentenza molto complessa e particolare», l’ha definita il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, durante la conferenza stampa di presentazione del decreto legge sui migranti e i “Paesi sicuri”.

I giudici di Lussemburgo il 4 ottobre scorso sono intervenuti in materia di procedura per il riconoscimento della protezione internazionale per richiedenti asilo provenienti da Paesi di origine designati come sicuri. Alla base del pronunciamento del giudice nazionale e di quello europeo, vi è, pertanto, la classificazione dei Paesi di provenienza delle persone che raggiungono l’Unione europea. Con il decreto legge approvato in Consiglio dei ministri il numero dei “Paesi sicuri” scende da 22 a 19. Sono stati esclusi Camerun, Colombia e Nigeria.

Nella vicenda dei migranti rientrati dall’Albania la gerarchia delle fonti normative svolge un ruolo fondamentale. Occorre ricordare che gli Stati membri dell’Unione europea hanno la possibilità di designare Paesi di origine “sicuri”, sulla base di informazioni fornite da altri Stati membri, dall’EASO (Ufficio europeo di sostegno per l’Asilo), dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti, in riferimento all’articolo 37 della Direttiva 2013/32/UE, la quale, all’Allegato 1, stabilisce che «un Paese è considerato Paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e uniformemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».

Dunque, la definizione di un Paese “sicuro” rappresenta uno snodo cruciale nelle procedure di esame delle domande di asilo dal momento che queste ultime, presentate da cittadini provenienti da Paesi considerati sicuri, vengono esaminate con una procedura accelerata.

La Giunta e la “Commissione Centri di Permanenza per i Rimpatri” dell’Unione Camere penali si sono espresse con chiarezza sulla decisione del Tribunale di Roma. Evocare scontri tra poteri dello Stato non solo è fuorviante, ma deleterio considerato che il momento storico impone collaborazione e chiarezza. «Il Giudice – scrive l’Ucpi - non ha svolto alcuna particolare attività interpretativa, né si è sostituito al potere esecutivo o a quello legislativo, si è limitato ad applicare un principio chiaro e vincolante enunciato dalla Corte di Giustizia sulla base di un giudizio di pericolosità espresso da Governo. Ciò che rischia di determinare un corto circuito tra poteri dello Stato non è però quanto è accaduto, ma quanto accadrà nei prossimi giorni».

Sulla delicata materia è intervenuto il governo. Il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge (norma primaria che, come ha precisato Mantovano, non va in contrasto con la sentenza della Corte di giustizia) che mira a far funzionare i meccanismi dei rimpatri. «L’elenco dei Paesi sicuri – ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio - è meditato, non apodittico. Nell’elenco sono estromessi, in ossequio alla sentenza della Corta di giustizia europea, Paesi che contengono aree territoriali non sicure: Nigeria, Camerun e Colombia».

Il governo ha voluto pure anticipare alcuni interventi. «Stiamo parlando di attuare – ha commentato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi - una normativa europea, e di anticipare, come dice la stessa Corte di giustizia europea, l’entrata in vigore di un sistema che noi riteniamo addirittura più dirimente e stringente. Dal giugno 2026 entra in vigore il nuovo regolamento che prevederà addirittura l’individuazione dei “Paesi sicuri” con esclusivo riferimento alle condizioni percentuali statistiche di approvazione delle domande a livello europeo, attestandole sotto il limite del 20%».