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Tutto immobile. Questa è la settimana dei referendum, la prossima è dedicata alle cruciali elezioni in Emilia. Di politica, nei palazzi domani, si comincerà a parlare di nuovo solo quando le due incognite, quella del referendum e quella dell'ordalia emiliana, saranno state sciolte. L'importanza del test del 26 gennaio è evidente e conclamata. L'ipoteca referendaria, non meno importante anche se meno nettamente definita nei suoi possibili esiti, è invece stata tenuta a lungo sotto traccia, e in parte ancora lo è.
Di certo si celebrerà il referendum confermativo della riforma costituzionale. Le firme sono state trovate, poi sono scomparse, infine sono state sostituite. E' probabile che il sistema politico italiano, affetto da congenita miopia e abituato a concentrare l'attenzione solo sulle scadenze più imminenti, non se ne renda conto, ma il balletto che è stato allestito intorno a questa riforma, prima col voto cangiante alla quarta e ultima votazione del Pd e di LeU, poi con il gioco tattico delle firme, tutto finalizzato solo ad avvantaggiare oppure ostacolare l'ammissione del referendum elettorale leghista da parte della Consulta domani, è destinato ad avere conseguenze profonde e forse devastanti. E' la prima volta che la Costituzione viene ridotta prima a merce di scambio per cementare un'alleanza politica, poi addirittura a terreno privilegiato per spostamenti tattici di bassissimo profilo. Ma in una materia come questa, il primo passo sulla strada sbagliata difficilmente resta l'unico e in ballo c'è la credibilità stessa della Carta, cioè del solo cemento che ancora tiene insieme il franante sistema italiano.
A fare premio su ogni altra considerazione è stato invece il calcolo di come il referendum costituzionale, che a questo punto è certo, inciderà sull'ammissione o meno di quello elettorale. I senatori che avevano tolto le firme all'ultimo momento speravano di impedire così l'ammissione del quesito leghista, quelli della Lega che li hanno rimpiazzati lo hanno fatto solo nell'auspicio di rendere invece più facile l'ammissione. Merito di Roberto Calderoli che, come tutti sanno, in materia di regolamenti ed espedienti tecnici è un maestro. E' stato lui, infatti, a costruire il quesito in modo tale da adoperare il referendum costituzionale come diga contro la principale motivazione che potrebbe portare alla non ammissione del quesito elettorale, quella per cui si produrrebbe una vacatio legis. La contestualità tra i due referendum rende infatti possibile varare la legge delega sulla revisione dei collegi, rispondendo sia alle esigenze poste dal taglio dei parlamentari che a quelle eventualmente rese necessarie dal sistema maggioritario, ove il referendum della Lega ottenesse il quorum, essendo in quel caso la vittoria del Sì di fatto certa.
Nessun quorum è richiesto invece per il referendum confermativo del taglio dei parlamentari. Otterrà una maggioranza schiacciante, tanto da rendere in effetti pleonastico l'appello agli elettori, che infatti mira ad altri obiettivi: permettere ai partiti di sciogliere il Parlamento prima che si celebri il referendum in modo da eleggere un Parlamento non ancora decurtato, ipotesi improbabile ma non impossibile, e incidere sulla scelta della Corte costituzionale il 15 gennaio. Non è detto che il gioco riesca. Quella decisione è del tutto in sospeso. Ma se il quesito leghista sarà ammesso si creerà comunque una situazione radicalmente destabilizzante.
In teoria il rischio che passi il sistema elettorale voluto dalla destra, un maggioritario secco che oggi sarebbe per Pd e M5S esiziale, dovrebbe spingere i due principali partiti di governo a votare subito, prima del taglio dei parlamentari e senza la minaccia del maggioritario. In questo modo, pur se sconfitti, porterebbero in Parlamento decine di eletti mentre il combinato fra taglio e maggioritario, nella situazione attuale, non consentirebbe al Pd di strappare più di una trentina di seggi e i 5S dovrebbero accontentarsi di una decina di eletti. Esiste però, ed è al momento prevalente, anche una considerazione opposta. L'eventuale vittoria referendaria della Lega blinderebbe la legislatura più di qualsiasi altra cosa: la certezza di non essere rieletti, per i singoli parlamentari, e di vedere la loro delegazione falcidiata, per le segreterie dei partiti, spingerebbe tutti a barricarsi sino all'ultimo giorno di legislatura. Ci sarebbe così tempo di mettere in cantiere l'indispensabile alleanza strategica fra Pd e 5S, senza contare la speranza che col tempo il vento oggi favorevole alla destra cambi.
Oggi è questo calcolo a tenere banco fra i partiti della maggioranza. Ma si tratterebbe di una stabilizzazione puramente di facciata: un Parlamento triplamente deleggitimato ( dal taglio dei parlamentari, dalla modifica in senso maggioritario della legge elettorale e dalla consapevolezza che la maggioranza di questo Parlamento è opposta a quella che sceglierebbero gli elettori) dovrebbe infatti resistere per tre anni, sempre costretto a muoversi con i piedi di piombo per paura di peggiorare la situazione in termini di consenso. Non sarebbe ancora, per Pd e 5S, la sconfitta nelle urne. Potrebbe essere il classico rimedio peggiore del male.