Un caso drammatico sta sollevando l’ennesima denuncia sulle gravi criticità del sistema penitenziario e dei servizi socio-sanitari in Sardegna. Un ragazzo di 24 anni versa in una situazione di estremo disagio: nonostante un’ordinanza del gip che ne disponeva la scarcerazione e il trasferimento in una comunità terapeutica, continua a rimanere rinchiuso nel carcere di Uta, a Cagliari. L’ordinanza del giudice risale al 15 dicembre scorso, con un termine perentorio di 4 giorni per trovare una soluzione alternativa al carcere. Eppure, al momento, nessuna struttura si è resa disponibile ad accogliere il giovane. Le sue condizioni psichiche rendono la detenzione non solo illegale, ma potenzialmente pericolosa. Irene Testa, garante regionale delle persone private della libertà, lancia l’allarme con parole che suonano come un j’accuse al sistema: «Siamo di fronte a un’assurdità che calpesta ogni principio di umanità e giustizia. Un giovane con disagio psichiatrico continua a rimanere in carcere, nonostante un chiaro ordine di scarcerazione».

Tutti gli esperti, associazioni come Antigone e movimenti politici come il Partito radicale concordano su un fatto: il carcere rappresenta l’ambiente peggiore per un soggetto con problematiche psichiatriche. Il rischio di deterioramento psicologico e il pericolo di gesti estremi, incluso il suicidio, sono estremamente elevati. La mancanza di strutture adeguate non è solo un fallimento burocratico, ma una vera e propria emergenza umanitaria. La denuncia della garante Testa è chiara e pressante: «Le istituzioni devono attivarsi immediatamente. Se non esistono comunità disponibili, è necessario crearle urgentemente. Non possiamo permettere che un giovane sia abbandonato al proprio disagio, rinchiuso in un contesto che lo danneggia ulteriormente».

Questo caso rappresenta la punta dell’iceberg di un sistema che continua a fallire per le persone più vulnerabili. La mancanza di coordinamento tra Tribunali, servizi sanitari e strutture di accoglienza si traduce in una violazione sistematica dei diritti umani. E proprio nel carcere di Uta, ricorda la garante a Il Dubbio, un ragazzo di 27 anni si è suicidato. Anche lui aveva un disagio psichico, era in custodia cautelare e si trovava in carcere per il fallimento a vari livelli delle agenzie territoriali. Avrebbe dovuto essere ospitato da una comunità. Probabilmente non rientra nemmeno nei dati statistici del ministero, visto che è morto in ospedale dopo giorni di agonia.

Ma le criticità nel sistema penitenziario sardo non si fermano alla gestione dei detenuti con disagio psichico. Emerge ora un ulteriore allarme sulla continuità assistenziale nella Casa circondariale di Cagliari-Uta, denunciato da Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo diritti riforme Odv”. Un conflitto interno ai servizi sanitari sta mettendo a rischio le cure dei detenuti. La situazione è aggravata dalla scarsa disponibilità di medici specialistici, costringendo a un continuo via vai di detenuti per esami urgenti, con notevoli difficoltà per la Polizia penitenziaria già oberata dalla carenza di personale.

La salute mentale non può essere un optional, tanto meno per i giovani. Ogni ritardo, ogni rinvio, ogni mancata presa in carico non è solo una sconfitta burocratica, ma un oltraggio alla dignità umana. È ora che le istituzioni ascoltino, agiscano, risolvano. Un giovane è in attesa di essere curato fuori dal carcere come stabilito da un giudice, non punito fino a quando decide di esalare l’ultimo respiro. Gli stessi agenti penitenziari non possono avere gli strumenti di un medico. E soprattutto, non possono essere lasciate sole le famiglie.