Tutto come previsto: il Consiglio superiore della magistratura ha sospeso la consigliera laica di FdI Rosanna Natoli. Con 22 voti favorevoli, sei contrari e due schede bianche, Palazzo Bachelet ha messo alla porta - almeno momentaneamente - la consigliera, colpevole di aver incontrato una toga sotto procedimento disciplinare - Maria Fascetto Sivillo - dandole dei consigli. Toga della quale era giudice e che si presentò all’incontro armata di registratore, consegnando, ben otto mesi dopo quel giorno, l’audio alla sezione disciplinare. Da lì la registrazione è finita in procura a Roma, che ha iscritto la consigliera sul registro degli indagati per abuso d’ufficio e rivelazione di segreto, dando il via libera alla procedura che ha portato alla sospensione.

La relazione del vicepresidente Fabio Pinelli è rimasta segreta fino alla sua lettura in aula questa mattina. Così, Natoli ha scritto una memoria a scatola chiusa, lamentando, in primis, la violazione del diritto di difesa. E a sorpresa si è presentata in plenum, difendendosi a spada tratta per circa mezz’ora e avvisando i colleghi: la sua sospensione, ha sottolineato, avalla «un rischioso precedente». Una convinzione condivisa anche da Andrea Mirenda, togato indipendente, tra i più agguerriti a biasimare il suo comportamento, ma inamovibile sulle questioni di principio: la legge, a suo dire, non consentirebbe la sospensione che, pertanto, molto probabilmente sarà spazzata via dal Tar. Al quale Natoli ha già annunciato di voler adire. La laica si è detta vittima di un «processo sommario», una vera e propria macchinazione. Una convinzione che deriva dalla ricostruzione della vicenda: la registrazione, risalente al 3 novembre 2023, non è stata depositata nel procedimento per la revoca della misura cautelare, la cui udienza si è tenuta due giorni dopo. E la chiavetta non è stata usata per impugnare la sentenza disciplinare, che è diventata definitiva. Motivo per cui la consegna di quella registrazione, ha evidenziato Natoli, di certo non ha favorito Fascetto Sivillo. Chi, allora? Il suo unico interesse, ha spiegato, «insieme al proprio difensore», sarebbe stato quello «di dimostrare che all'interno di questo Csm c'è una deriva correntizia, peggio del precedente, cosa che io ho estremamente con forza negato».

Il caso Natoli

La vicenda di Natoli ruota attorno all’incontro tra la consigliera e Maria Fascetto Sivillo, giudice sotto procedimento disciplinare. Secondo l’accusa, Natoli avrebbe rivelato informazioni riservate della Camera di consiglio, violando così il segreto. La procura di Roma ha anche contestato l’abuso d'ufficio, un reato recentemente abolito ma che ha comunque permesso l'apertura del fascicolo nella capitale. Nei giorni scorsi, Natoli aveva presentato un’istanza di annullamento delle delibere del 17 luglio, data chiave in cui il Plenum avrebbe sancito la vittoria di Francesco Curcio su Francesco Puleio, grazie alla mancata partecipazione della consigliera, che avrebbe votato per Puleio.

Le dichiarazioni di Rosanna Natoli

L’iscrizione sul registro degli indagati, a suo dire, non avrebbe fondamento giuridico. E non solo perché l’abuso d’ufficio ormai è abolito, ma perché «strutturalmente» non avrebbe senso. Così come la rivelazione. Sarebbe stato un pretesto, dunque, per favorire la sua cacciata. Anche perché il 335 bis, frutto della riforma Cartabia, impedisce qualsiasi conseguenza giuridica derivante dalla mera iscrizione. E anche se c’è uno spiraglio - legato alle «molteplici e straordinarie abnormità della vicenda» -, la storia della registrazione, ha aggiunto Natoli, non può reggere. «Sono indagata soltanto in esito al deposito di una chiavetta Usb con relativa trascrizione, non giurata dal consulente, di un incontro che è sì avvenuto, ma non certamente con le modalità descritte dalla denunciante ovvero da alcune testate giornalistiche - ha sottolineato -. Dalla procura di Roma ci si sarebbero aspettate le giuste indagini come ad esempio il sequestro dell’apparecchio utilizzato per la registrazione al fine di estrarre il file in originale per, poi, sottoporlo ad una consulenza tecnica d’ufficio». Ma tutto ciò non è avvenuto.

Anzi, in men che non si dica, è arrivato un avviso di garanzia con convocazione di Natoli, ma senza rispettare i termini previsti dalla legge. Così non si è presentata in procura a rendere interrogatorio. E non è stata fissata una nuova data. «Ad un lectori malevolo - ha commentato dunque - verrebbe da pensare che tale manovra frettolosa aveva il solo scopo di comunicare ufficialmente che sono indagata». Notizia che Natoli, peraltro, ha appreso dai giornali. «La mia sospensione oggi avvalla un pericoloso precedente - ha sottolineato la laica -. Così facendo qualsivoglia procura di turno, anche incompetente territorialmente, potrebbe determinare la sospensione di un componente non gradito eletto dal Parlamento: basta semplicemente iscriverlo nel registro degli indagati e formulare un avviso di garanzia, anche per reati già abrogati e/o insussistenti, per come prima facie sono stati formulati i capi di imputazione nel procedimento che mi riguarda, e bastano gli ipocriti articoli di alcuni giornalisti compiacenti a determinare lo strepitus fori e consentire di sostenere che l’Istituzione sia stata messa in pericolo e che, conseguenzialmente, il consigliere vada sospeso». Ma «è inconcepibile che una procura si arroghi di scrivermi nel registro degli indagati da incompetente territorialmente - ha aggiunto -. Io non chiedo di restare all'interno del Csm. Io ho la coscienza a posto. Forse, se qualcuno non mi avesse giudicata come immorale, avrei dato le dimissioni. Io non ho interesse a proseguire l'esperienza consiliare per me. Ma mi ha eletta il Parlamento in seduta comune e io ho il dovere di rispondere a chi mi ha eletto e chi mi ha eletto ha il dovere di capire se chi oggi mi indaga lo ha fatto rispettando le norme del codice o è andato oltre quello che era il suo potere». Da qui anche l’appello al procuratore generale e al ministro della Giustizia di «valutare il comportamento della procura di Roma».

I precedenti

La violazione del segreto, ha evidenziato l’avvocata di Paternò, non sussiste «e tutti da buoni giuristi lo sapete». Mentre per quanto riguarda la sospensione, l’articolo 37 del regolamento - che prevede tale possibilità - andrebbe «applicato soltanto dopo che il pm abbia esercitato l'azione penale, dopo aver completato le indagini». Natoli ha citato vari precedenti, relativi a magistrati. Per i quali la giurisprudenza si è sempre espressa favorevolmente: un magistrato non può essere sospeso per il semplice fatto di essere iscritto nel registro degli indagati. «Ho studiato migliaia di sentenze, anche di violazione effettiva del segreto della Camera di consiglio, e non ho trovato rimozioni di magistrati». Se così fosse stato, «mi sarei dimessa immediatamente. Ma non ci possono essere due pesi e due misure. Conosco le regole e non sono quelle che voi volete applicare. Ho la coscienza molto a posto, perché non ho mai piegato la funzione, non ho mai commesso atti contro la legge, contro il diritto, ma ho sempre, anche in questa vicenda, tutelato l'istituzione, consigliare, anche contro la dottoressa Fascetto Sivillo. Io mi difenderò col diritto, con il codice, non mi difenderò né con gli articoli di stampa, né con le mie parole oggi». Natoli ha anche contestato la stampa, che l’ha definita pupilla del presidente del Senato Ignazio La Russa, grazie alla cui “protezione” sarebbe arrivata al Csm. «Che senso ha parlare di tetto di cristallo se ci sono giornalisti che scrivono che una donna ha un incarico istituzionale perché è amica di un altro uomo e non per propri meriti, scrivendo frasi sessiste e maschiliste? - ha sottolineato -.Con la sospensione chi viene defraudato non sono io, ma il Parlamento. Io non sono stata nominata da La Russa, io sono stata eletta dal Parlamento in seduta comune. E non rispondo a nessuno se non al Parlamento».

Le reazioni

Dal canto suo, Pinelli, nella sua relazione, aveva spiegato che la condotta di Natoli «appare sussumibile nella fattispecie prevista dalla legge del 1958, visti gli obblighi inerenti l’esercizio di funzioni disciplinari (...) con violazione dei doveri di imparzialità e terzietà propri della funzione del giudice disciplinare, anche alla luce della partecipazione al collegio giudicante in tutte le udienze celebrate dopo la descritta interlocuzione». Ma intanto la questione apre uno squarcio all’interno del Csm. «Facile cogliere la parabola paradossale di un atto, l'iscrizione, che sebbene pensato esclusivamente in funzione di garanzia, diviene, da oggi, la condizione necessaria e sufficiente per l'esposizione di ogni singolo Consigliere, magari sgradito, a pesantissima minaccia», ha commentato Mirenda. Mentre per l’altro indipendente, Roberto Fontana, «questa vicenda mette in luce soprattutto un “buco “ enorme nella disciplina di tutela dell’Organo: se di questa vicenda fosse stato protagonista un consigliere magistrato, a prescindere dalla rilevanza (o meno) penale della condotta in questione, la procura generale avrebbe aperto un procedimento disciplinare che pressoché certamente sarebbe sfociato in una sanzione superiore all’ammonimento con conseguente decadenza di diritto dal Consiglio», come disciplinato dalla legge 195/1958. «Per i consiglieri laici - ha concluso - scatta la decadenza solo se si arriva ad una sentenza penale di condanna. In questo modo condotte anche molto gravi da parte di consiglieri laici sono destinate a rimanere  senza sanzione in tutti i casi in cui non integrano un reato e, in questa prospettiva, l’abolizione dell’abuso d’ufficio ha ampliato a dismisura l’area d’irrilevanza di condotte gravemente lesive dell’Istituzione. È un problema di cui occorre farsi carico al di là della vicenda specifica».