Quello di Francesco Lo Voi , il procuratore di Roma che ha iscritto sul registro degli indagati la presidente Giorgia Meloni ei suoi uomini per il caso Almasri , è stato più un assist al governo che un colpo messo a segno dalla magistratura nella battaglia contro la separazione delle carriera. Perché ha consentito ai vertici di Palazzo Chigi di non rispondere in aula delle proprie scelte, dopo aver negato a lungo la ragione di Stato che oggi si troverebbe a dover rivendicare. Con la conseguenza di dover ammettere la confusione di quelle ore, quando la minaccia di una “invasione” di migranti dalla Libia come ritorsione per la custodia del generale-torturatore ha spinto il governo a optare per il suo rilascio. Creata la condizione per poter invocare il segreto investigativo e disertare il Parlamento, dunque, la partita si svolge tutta sui social - dove Meloni ha rivelato di essere indagata - e sui giornali. E nel mirino finisce principalmente Lo Voi, attaccato per aver sindacato su una scelta «politica», per aver chiesto un volo di Stato per tornare nella sua Sicilia e per aver svelato un'inchiesta sui Servizi segreti, con un documento inserito in un fascicolo relativo ad un'indagine su alcuni giornalisti di Domani. Così il moderato procuratore di Roma è diventato il nemico pubblico numero uno. O meglio, il pretesto per sparare ancora a pallettoni sulla magistratura. Ciò nonostante un dato, banale: la denuncia dell'avvocato Luigi Li Gotti si basa su articoli di giornale, sul decreto della Corte d'appello di Roma e sulla richiesta del procuratore generale.

Tutti fatti che Lo Voi conoscevate benissimo senza bisogno di attingere ad alcuna denuncia e che consentivano un'iscrizione d'ufficio. Ma non c'è stata, fino all'esposto di Li Gotti, che, dunque, potrebbe aver messo il procuratore con le spalle al muro, ipotizza qualcuno.

Il risultato è stato quello di trascinare la magistratura sul ring. E così, il procuratore - certamente non un simpatizzante dei partiti di sinistra - è finito nel mirino pure dei laici di centrodestra del Csm, che con una richiesta di pratica “contro” Lo Voi provano a centrare un duplice risultato: ottenerne il trasferimento e sollecitare un procedimento disciplinare a suo carico. Insomma, punirlo, in un modo o nell’altro. Il sottotesto è chiaro: la magistratura sta facendo di tutto per fermare il governo, intenzionato a mettere mano alle carriere separando i pm dai giudici. E l’indagine sarebbe solo un pezzo di questo tentativo di sabotaggio avviato con la protesta nelle aule di giustizia durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, quando i magistrati hanno abbandonato le cerimonie, Costituzione in mano, durante le relazioni dei rappresentanti del governo. «Noi non remiamo né a favore, né contro il governo si è smarcata a Tagadà Alessandra Maddalena, vicepresidente dell’Associazione nazionale magistrati -. Non è questo che ci viene chiesto dalla Costituzione. Semplicemente applichiamo la legge nei limiti in cui la Costituzione ci impone di farlo», ha aggiunto, stigmatizzando le «aggressioni» che «sono segno dell’insofferenza verso il controllo di legalità della magistratura». La battaglia, però, c’è tutta. Al Csm, il giorno dopo la presentazione della prima pratica contro Lo Voi, tutto tace. O almeno così si fa credere. L’unico commento che è possibile strappare, dunque, è tutto relativo alla procedura: «L’articolo 2 e la procedura di trasferimento non servono e non devono servire per contestare singoli provvedimenti giurisdizionali - si limita a commentare il togato di Unicost Marco Bisogni -. Questo è quanto ho sottolineato anche in casi analoghi».

La richiesta dei laici, come detto, invoca anche possibili provvedimenti disciplinari. Ma gli unici a poter avviare un’azione di questo tipo sono la Procura generale della Cassazione e il ministro della Giustizia, che difficilmente, in questo caso, potrebbe muoversi senza essere accusato di voler punire chi lo ha messo sotto inchiesta. Quindi si attendono le mosse del Comitato di Presidenza, che dovrà decidere nel silenzio - almeno ufficiale - del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che è anche il numero uno di Palazzo Bachelet. Di comunicazioni ufficiali tra il Capo dello Stato e il vicepresidente Fabio Pinelli non si ha notizia. Certo è, però, che nei giorni scorsi i due si sono incrociati più volte e non è escluso che Mattarella abbia espresso la sua opinione in merito alla vicenda. Anche perché prima di rivelare via social di essere indagata Giorgia Meloni ha fatto un salto al Quirinale, per evitare che il Presidente della Repubblica scoprisse il tutto dai giornali.

Tra i corridoi di Palazzo Bachelet, insomma, non si muove una foglia. Le discussioni si svolgono in privato, tramite chat. E il mantra delle toghe è di evitare l'innalzamento dei toni. «Non servire - sussurra un magistrato -. Non è nostro interesse alzare il livello dello scontro, quello che ci serve è spiegare perché la riforma è pericolosa». La pratica richiesta dal centrodestra - questa l'unica certezza - finirà nel nulla, come le precedenti dello stesso tenore. Anche perché, a dirla tutta, le pratiche hanno una funzione esclusivamente “politica”: comunicare all'esterno un pensiero, di fatto confermando la battaglia tra politica e magistratura. E il messaggio è già stato inviato. L'unico a sbottonarsi, come sempre, è l'indipendente Andrea Mirenda: «I laici di centrodestra, tutti raffinati giuristi, sanno perfettamente come sia assolutamente inammissibile invocare l'incompatibilità ambientale del magistrato per l'attività di interpretazione della legge». L'altro piano del dibattito interno è tutto tecnico: davvero poteva essere ipotizzato il favoreggiamento? O era più credibile l'accusa di rifiuto d'atti d'ufficio, dato il silenzio di Nordio rispetto alle richieste della Corte d'Appello per sanare la procedura di consegna di Almasri alla Cpi? Domande che, probabilmente, non avranno ragione di ottenere risposta.