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La sede del Csm
L’auspicio era quello di sotterrare l’ascia di guerra. Ma quella andato in scena al Csm è stata una rappresentazione in scala di una battaglia che si consuma a più alti livelli, tra Palazzo Chigi e le aule di Tribunale.
Sul piatto la pratica a tutela di Marco Gattuso, il giudice di Bologna finito nel mirino di politica e giornali di destra per aver inviato il decreto Paesi sicuri alla Corte di giustizia europea. La delibera è stata approvata con 26 voti a favore e solo cinque voti contrari, quelli dei laici di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Astenuto il vicepresidente Fabio Pinelli, mentre anche Magistratura indipendente ha garantito il suo appoggio al magistrato, grazie ad un rimodulazione della proposta iniziale che ha edulcorato il testo.
Gattuso era stato attaccato dai media non tanto per il merito della sua decisione, ma in relazione alla sua vita privata, tirata in ballo per adombrare «un’assenza di imparzialità dell’organo giudicante priva di riscontri obiettivi e fondata su elementi personali alieni al contesto del giudizio». La delibera porgeva anche un ramoscello d’ulivo, con l’auspicio di «un dialogo sereno tra le istituzioni, nel rispetto della reciproca autonomia». Ma proprio l’unanimità riscossa tra le toghe ha suscitato la reazione viva di Isabella Bertolini (FI), che ha definito «astuta» la scelta della pratica a tutela da portare in Consiglio: nonostante le molte ancora in sospeso, risalenti anche alla vecchia consiliatura, infatti, la scelta di portare in plenum quella «meno complicata» - e non, ad esempio, il caso Apostolico, la giudice che ha disapplicato il decreto Cutro ed è finita nel mirino per aver partecipato ad una manifestazione pro migranti - rappresenterebbe una «scelta politica» intelligente. E se inizialmente era una pratica divisiva, tanto da aver spaccato la stessa Mi, l’averla «annacquata» consente di «riportare a casa tutta la casta».
Anche l’appello al dialogo, a suo dire, sarebbe «ipocrita», perché fuori, nei corridoi, in molti rimettono «la casacca». È la magistratura, sostiene, a dover cambiare passo. Non sarebbe la politica ad alimentare «il clima di tensione», anche perché, ha sottolineato, è stato il giudice Gattuso ad aver messo in piazza la propria vita personale «per combattere battaglie ideologiche, politiche, ideali». E dunque non potrebbe dirsi diffamato. «I magistrati dovrebbero mettere un’altra casacca, la stessa del nostro Presidente» Mattarella - che ha dichiarato di aver firmato leggi che non condivide - «e quando fanno i magistrati applicare le leggi, anche quando non le condividono». L’ascia di guerra, ha concluso, sarà sotterrata quando «la magistratura capirà che non deve giocare la partita, quello è demandato alla politica».
Nel presentare la delibera, il relatore Tullio Morello, toga di Area, ha evidenziato come Gattuso abbia subito «un attacco ingiustificato, denigratorio e generalizzato, sia da parte delle istituzioni, ma anche di alcuni organi di stampa, che hanno scelto di screditare non solo il provvedimento, ma anche la figura del presidente del collegio che ha avuto il compito di adottarla, ricorrendo a pratiche inaccettabili come la raccolta di informazioni, a volte anche riservate, della sua vita privata». Marco Bisogni, togato di Unicost, ha sottolineato come «far passare questo ordinario strumento - il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, ndr - come un’anomalia o come una scelta ideologica» è «una distorsione dei fatti che ignora la funzione del giudice nel quadro europeo. Ciò che invece deve preoccuparci è l’escalation di toni», con la strumentalizzazione di tale vicenda «per alimentare una narrazione divisiva, basata su insinuazioni personali e generalizzazioni che ledono l’autonomia e l’indipendenza della magistratura». Tutelare, però, «non significa entrare in conflitto con altri poteri dello Stato. Significa riaffermare che la magistratura non cerca né vuole lo scontro, ma agisce nel rispetto delle leggi e delle regole del nostro ordinamento». Un principio «non negoziabile, perché è la garanzia stessa dello Stato di diritto».
La prima presidente della Cassazione Margherita Cassano ha rivendicato «il diritto di critica», chiedendo di «non demonizzare chi la pensa diversamente per screditare la credibilità di un magistrato».
Mentre Domenica Miele, di Md, ha ribadito che «leggere attraverso categorie politiche le decisioni dei magistrati e additarle quali manifestazione di una pervicace volontà demolitoria della volontà popolare costituisce indubbiamente elemento di discredito della funzione giudiziaria e dei singoli magistrati e mina la credibilità della giurisdizione».
Per il laico Felice Giuffrè, sarebbe però una «narrazione falsa» quella della «magistratura sotto assedio». Un messaggio rivolto all’interno dell’ordine giudiziario «per evidenti fini di competizione elettorale», in vista «dei prossimi appuntamenti che, oramai da qualche mese, stanno condizionando ogni presa di posizione di questo Consiglio e dei gruppi associativi». Una parte «minoritaria» della magistratura associata, secondo il laico in quota FdI, «intende con tutta evidenza mobilitare l’intera categoria in una battaglia evidentemente politica contro le riforme che il Parlamento si appresta a votare».
Solo con queste motivazioni «si può spiegare la altrimenti inspiegabile deroga all'ordine cronologico nella trattazione delle cosiddette pratiche a tutela che pendono davanti alla prima Commissione». Anche per la leghista Claudia Eccher sarebbe in corso un tentativo «di alimentare il conflitto». Ma alla fine la pratica passa, coi voti anche dei laici Ernesto Carbone ( Iv), Michele Papa ( M5S) e Roberto Romboli ( Pd). «Non si tratta di difendere Gattuso - ha sottolineato Carbone -, ma la giurisdizione, nel massimo confronto dei poteri dello Stato. Bisogna mettere dei paletti e dei confini che non devono essere superati». La guerra è solo agli inizi.