Il Csm ha archiviato il caso Patarnello, il magistrato finito nella bufera dopo la pubblicazione di una sua mail interna all’Anm sulla stampa. Ma il dibattito è tutt’altro che chiuso. Anzi: è solo un antipasto di quella che sembra essere destinata a diventare una vera e propria battaglia senza esclusione di colpi tra toghe e politica, in vista del referendum sulla separazione delle carriere. Al centro di tutto le parole del magistrato, finite (in parte) sul quotidiano Il Tempo in un articolo dal titolo «La mail choc della toga rossa: “Meloni più pericolosa del Cav. Compatti per porre rimedio”».

La richiesta di apertura della pratica era stata avanzata dai laici di centrodestra Felice Giuffrè, Isabella Bertolini, Daniela Bianchini, Claudia Eccher e Michele Aimi, secondo cui le parole di Patarnello sarebbero indicative di una volontà, di una parte della magistratura, di interferire con l’indirizzo politico di Parlamento e governo. Da qui la richiesta di trasferimento, cassata però dalla prima commissione - e oggi anche dal plenum -, in quanto dichiarazioni fatte in una mail privata accessibile solo agli iscritti. Da qui il venir meno del requisito della «oggettiva compromissione dell’indipendenza e imparzialità» che la norma richiede per un intervento del Csm.

La discussione è stata però lo spunto per riportare nell’arena del Csm un problema ben più complesso del caso singolo. Ovvero lo scontro sui limiti della libertà delle toghe di manifestare il proprio pensiero. Un diritto costituzionale, per i magistrati, un modo per fare politica secondo il centrodestra, rappresentato in maniera ampia anche a Palazzo Bachelet. Ed è stato proprio questo il centro della discussione, che ha spaccato anche le toghe sin dalla discussione in Commissione. Il relatore della pratica, il togato indipendente Andrea Mirenda, infatti, aveva inserito un inciso che, al netto dell’archiviazione del caso, ribadiva un principio sancito dalla Corte costituzionale: se è vero che «i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino», è necessario ricordare che «le funzioni esercitate e la qualifica da essi rivestita non sono indifferenti e prive di effetto per l’ordinamento costituzionale».

L’inciso ha fatto storcere il naso ai magistrati progressisti, che hanno dunque presentato un emendamento soppressivo della parte “moralizzatrice”, a firma di tutti i togati di Area e dalla toga di Md Mimma Miele. Emendamento poi respinto dall’aula, che alla fine ha approvato con cinque voti contrari (i laici di centrodestra) e quattro astensioni (Nicotra, D’Ovidio, Paolini e Scaletta) l’archiviazione della pratica.

Il dibattito ha anche riguardato proprio lo strumento usato contro Patarnello. Per Marcello Basilico, consigliere di Area, i proponenti della pratica avrebbero infatti «strumentalizzando consapevolmente - rispetto allo scopo previsto dalla legge - una procedura di incompatibilità ambientale o funzionale per uno scopo diverso, mettendo di fatto sotto accusa un magistrato che, non a caso, appartiene dichiaratamente alla magistratura progressista. E non a caso di molti altri messaggi di analogo tenore usciti in quei giorni e in quelle ore sulla stessa mailing list nessuno ha dato pubblicità - ha evidenziato -. Ed è preoccupante l’annuncio della consigliera Bertolini di avvalersi ancora in futuro di questo strumento normativo per censurare condotte di magistrati e disgregare il fronte unito della magistratura, cosa che prefigura un uso politico di una procedura sulla pelle di magistrati per cui si chiede il trasferimento coattivo».

Bertolini, intervenendo in plenum, ha sottolineato infatti che «noi laici continueremo a presentare queste pratiche. Non per attaccare politicamente qualcuno, ma perché crediamo nel ruolo imparziale della magistratura. E vogliamo difenderlo, anche da chi, con leggerezza o con presunzione, lo mette in discussione. La toga è una responsabilità, non un megafono». Una vera e propria dichiarazione di guerra, secondo Basilico.

Di diverso avviso il consigliere indipendente Roberto Fontana, che ha allargato il discorso alla legittimità storica del ruolo della magistratura nel dibattito pubblico: «I magistrati hanno sempre partecipato alle riflessioni sulle riforme della giustizia. Si teme, oggi, una limitazione della libertà di parola».

Più sfumata la posizione della togata di Mi Bernadette Nicotra, secondo cui l’uso inopportuno dei media da parte dei magistrati non è solo un errore individuale, ma una vera e propria «patologia del sistema». Non serve un bavaglio, ha sottolineato, «ma una cultura della buona comunicazione».

A chiudere il dibattito il relatore Mirenda. Secondo cui il nodo cruciale sono le ultime quattro righe della proposta, quelle che richiamano le toghe ai doveri di continenza. «I magistrati devono essere imparziali e indipendenti, e tali valori vanno tutelati anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento, al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza - ha sottolineato -. C’è davvero qualcuno, qui dentro, che non si riconosce in tali valori? Io voglio credere di no».

Pur essendo destinata a un contesto riservato, la mail di Patarnello è diventata pubblica e per questo, ha spiegato, ignorare le perplessità sollevate sarebbe stato «irrispettoso e superficiale. L’esercizio della libera manifestazione del pensiero deve essere sempre guidato dall’autonomia morale del giudice. Senza etica, la libertà — anche quella di manifestare il pensiero — è solo un vizio ben vestito».