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Francesco Lo Voi, procuratore capo di Roma, in occasione della proiezione del film "Falcone e Borsellino. Il fuoco della memoria"
Altro che unità. La magistratura volta le spalle a Francesco Lo Voi, il procuratore di Roma finito sulla graticola per aver iscritto sul registro degli indagati Giorgia Meloni e i suoi ministri. Al punto che il Consiglio superiore della magistratura è rimasto in silenzio, nonostante la richiesta di una pratica “punitiva” da parte dei laici di centrodestra. Fino a ieri mattina, quando il togato indipendente Andrea Mirenda, in perfetta solitudine, ha depositato una richiesta di pratica a tutela per il numero uno di Piazzale Clodio, lasciato solo non soltanto da Palazzo Bachelet, ma anche dalla sua procura, rimasta in silenzio di fronte all’attacco frontale sferrato da Meloni e dai suoi uomini.
Il silenzio del Csm fornisce una lettura diversa della vicenda. Ovvero: la scelta di Lo Voi di iscrivere la premier e i ministri è un gesto che non è stato apprezzato dai colleghi. Tant’è vero che nell’immediatezza, quando la presidente del Consiglio, forse incredula per l’assist, ha registrato un video con attacchi furiosi e scomposti al procuratore, l’Associazione nazionale magistrati è intervenuta soltanto per precisare che non si trattava, tecnicamente, di un avviso di garanzia. La precisione, prima di tutto, senza spendere una sola parola per un magistrato in quel momento svillaneggiato da Meloni per l’esito del processo a Matteo Salvini.
Nella giornata di ieri Il Dubbio aveva dato conto dell’anomalo silenzio al Csm, dove i gruppi associativi, compresa Magistratura indipendente, la corrente a cui appartiene Lo Voi, hanno evitato di proporre una pratica a tutela, nonostante l’intenzione di Mirenda di farsi promotore. Pratica che non è mai stata negata a nessuno, finora, proprio perché destinata a tutelare non tanto il singolo, quanto la funzione, a prescindere dalla condivisione o meno dell’iniziativa tutelata. Lo Voi, però, non ha goduto dello stesso trattamento.
Una circostanza che conferma la natura spesso strumentale di tali pratiche e, forse, la preoccupazione delle toghe che questa iscrizione possa nuocere alla battaglia contro la separazione delle carriere: un gesto così dirompente come un’indagine su mezzo esecutivo, che necessariamente si infrangerà contro il rifiuto del Parlamento a procedere, è chiaramente un’arma in mano alla politica, più che alla magistratura, per alimentare la retorica delle toghe “rosse” che minano l’indipendenza della politica. Anche se la toga di Lo Voi è tutt’altro che tale.
Mirenda, però, si è sottratto da questo scontro tutto politico e, pur essendo l’unico, tra i togati del Csm, favorevole alla separazione delle carriere e al sorteggio, si è esposto per tutelare la funzione, con una richiesta messa nero su bianco dopo una giornata di fibrillazioni e silenzi da parte dei colleghi, probabilmente interpellati senza successo (circostanza che non conferma né smentisce), arrivando, dunque, all’unica soluzione possibile: agire da solo.
«La mancata condivisione di una richiesta di apertura di una pratica a tutela del procuratore Lo Voi - commenta al Dubbio - pone ad un livello altissimo l’asticella della rilevanza di tutte le ulteriori pratiche. I togati dovranno porsi questo problema: non essersi pronunciati su questo caso renderà poco plausibile una pari iniziativa in tutti i casi futuri».
La sua richiesta, si legge nel documento protocollato ieri, è la conseguenza delle «gravi e sorprendenti affermazioni pubbliche della presidente del Consiglio, On. Giorgia Meloni». A prescindere dalle «valutazioni tecniche» sulla scelta di Lo Voi, «proprio la peculiare complessità del caso e la conseguente opinabilità delle possibili soluzioni giuridiche, consentono di escludere “prima facie” qualsivoglia “abnormità” (in senso tecnico) in quella che si è sostanziata in una semplice “comunicazione” agli indagati».
Per Mirenda si tratta di un «atto dovuto», come ribadito dallo stesso Lo Voi, «la cui pubblicizzazione è dipesa solo da studiata scelta dei destinatari». E sebbene il diritto di critica sia intangibile, anche quando «aspro», rispetto all’operato della magistratura, per Mirenda è comunque «inaccettabile che la critica esondi in radicale messa in discussione della funzione giudiziaria stessa, come è avvenuto nel caso in esame, e ciò tanto più quando proviene dai vertici dello Stato».
Il riferimento è all’ormai famosa frase con la quale Meloni ha deciso di “identificare” Lo Voi, «lo stesso del fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona, adombrando poi una sorta di movente politico dell’inchiesta sol perché scaturita da denuncia di parte avversa». Il riferimento alla non ricattabilità di Meloni lascia intendere, di converso, un tentativo di ricatto - fallito -, al quale la presidente ha contrapposto una libertà di azione quasi indiscriminata, «a difesa degli italiani soprattutto quando è in gioco la sicurezza della Nazione».
Di fatto ammettendo, dopo averlo negato, che solo di questo si trattava: una ragione di Stato. Ma, sottolinea Mirenda, «è appena il caso di ricordarlo, la salute della Nazione trova garanzia solo nel rispetto dello Stato di Diritto a cui inerisce, prima di tutto, il leale e mutuo riconoscimento di ruoli delle Istituzioni che lo compongono».
Intanto, su Lo Voi incombe un’altra grana: un esposto del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza a Perugia per la pubblicazione di informative d’intelligence sul quotidiano Il Domani. L’ipotesi è quella della violazione dell’articolo 42 comma 8 della legge 124 del 2007, in quanto la procura di Roma, in qualità di destinataria delle informative riservate, avrebbe dovuto adottare le necessarie cautele per evitarne l’indebita diffusione.
Forse una delle tante “scuse” adottate al Csm per non esporsi al fianco di Lo Voi?