Si dovrebbe partire da Berlusconi. O dalla sua iperbole: le toghe rosse. Che non erano così a sinistra neppure all’epoca in cui il Cav se le trovò tutte contro. Però è vero che giovedì, dopo il sì della Camera al ddl Nordio, è stata la “rossa” Md a chiamare alle armi.

La corrente guidata da Stefano Musolino prefigura uno scenario da democrazia sotto assedio: «Alle inaugurazioni dell’anno giudiziario nelle Corti d’appello, i magistrati, con toga indosso e copia della Costituzione alla mano, abbandonino l’aula, in forma composta, nel momento in cui il rappresentante del ministro prenderà la parola». Iperbole uguale e contraria a quella d’antan del Cavaliere. Come se il ddl di Nordio che ora sarà esaminato a Palazzo Madama – e, con l’intervallo di tre mesi previsto dalla Carta, di nuovo da entrambi i rami del Parlamento – non avesse rigorosamente rispettato il perimetro dell’articolo 138, il passaggio in cui la Costituzione italiana sancisce la procedura da seguire perché la si possa modificare.

Carlo Nordio dovrà misurare con attenzione ogni tappa del percorso. Da qui fino al giorno in cui gli italiani saranno chiamati, con ogni probabilità, a confermare o bocciare la separazione delle carriere col referendum. Magistratura democratica, intanto, sottoporrà la propria clamorosa ipotesi proprio oggi alle altre correnti, nel “parlamentino” delle toghe, al secolo Comitato direttivo centrale dell’Anm (definizione solenne che nessun partito vero oggi si consentirebbe).

È il primo step: il “sindacato” dei magistrati decide se adottare l’estremismo di “Md”, se assecondare altre soluzioni da assemblearismo movimentista come la maglietta anti-Nordio con cui vorrebbe presentarsi alle cerimonie inaugurali Stefano Celli, pm dell’altro gruppo progressista “Area”, o virare verso forme meno clamorose come proverà a suggerire, con ogni probabilità, il progressista ma moderato presidente uscente Giuseppe Santalucia.

In ogni caso l’armamentario sfoderato, seppur solo a parole, dice molto: andarsene Costituzione in pugno dalle inaugurazioni nelle Corti d’appello previste per sabato (il giorno prima si celebra l’anno giudiziario in Cassazione) è appunto un modo per attribuire alla riforma Nordio intenzioni “eversive” che in realtà non vi sono contemplate. Una mistificazione. Che però serve. Perché la tecnica è suggestionare gli elettori con l’idea terribile secondo cui la magistratura, e dunque la democrazia, sarebbero sotto attacco esattamente come lo sarebbero state fino a una quindicina d’anni fa sotto quel “manigoldo” di Berlusconi. Solo così, col fantasma del Cav accompagnato da quello più remoto ma ancora più inquietante di Licio Gelli (già evocato dal Pd), l’Anm può vincere il referendum: con la suggestione angosciante di una destra che lancia l’assalto alla civiltà.

Ed ecco che le iperboli, gli allarmi apocalittici, servono. E non saranno solo le correnti Anm a inscenarli. Il ministro della Giustizia dovrebbe saperlo. Mercoledì prossimo si presenterà in Parlamento (di mattina al Senato, nel pomeriggio alla Camera) per la relazione sullo stato della giustizia. Almeno parte dell’opposizione replicherà all’intervento del guardasigilli con anatemi pari a quello a cui “Md” implicitamente allude per giustificare l’affronto della “fuga” dalle cerimonie inaugurali.

E sabato, nelle Corti d’appello, qualche procuratore capo potrebbe rilanciare parole di fuoco contro il ministro e la premier Giorgia Meloni. Pronti, diranno, a indebolire la magistratura a vantaggio della politica. È la tesi sostenuta da un’altra ala estrema dell’opposizione politico-giudiziaria, il deputato 5S ed ex pm antimafia Federico Cafiero de Raho in un’intervista alla Stampa di ieri. E ne ha parlato anche, in chiave certo analitica ma con toni gravi, una delle intelligenze migliori di cui l’Anm disponga, il presidente del Tribunale di Paleremo Piergiorgio Morosini, in una conversazione post-voto con l’Adnkronos.

Pochi minuti dopo il sì di Montecitorio ma anche nell’intervista al Corriere della Sera di ieri, Nordio ha rivendicato che certo, si realizza il sogno di Silvio Berlusconi, ma ha anche detto che lui quel sogno lo coltiva da prima, da trent’anni. Sembra un innocente, veniale vezzo narcisistico. È in realtà la strategia che il governo, il centrodestra e innanzitutto il guardasigilli dovranno adottare di qui in avanti, appunto: affrancare la separazione delle carriere dalla mitologia del berlusconismo.

Rivendicare la riforma come propria. Perché più il divorzio giudici-pm sarà associato agli anni in cui, col Cavaliere in campo, l’Italia era divisa in due tifoserie equivalenti – da una parte gli elettori di centrosinistra favorevoli ai pm, dall’altra il “popolo della libertà” nemico delle Procure – e più la vittoria del sì al referendum sarà in pericolo. Nel ventennio berlusconiano l’equilibrio nei consensi c’era e, nel segreto dell’urna referendaria, il ritorno prepotente di quella suggestione rischierebbe di regalare a Meloni e Nordio un’amara sorpresa