C’era da aspettarsi che la parola dei giudici inglesi sulla definizione legale di donna non sarebbe stata l’ultima. E infatti, ecco la notizia: il caso arriva alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

A farvi appello è Victoria McCloud, prima giudice trans del Regno Unito, che ha presentato ricorso alla Cedu contro la sentenza della Corte Suprema britannica sostenendo la violazione dell’articolo 6 della Convenzione sul diritto a un giusto processo. «Il motivo è che la Corte Suprema si è rifiutata di ascoltare me o le mie prove per fornire loro informazioni sull’impatto della sentenza sulle persone transgender e non ha fornito alcuna motivazione», spiega al Guardian McCloud. Che intanto, dopo 14 anni, ha dismesso la toga da magistrata per reindossare quella da avvocata: classe 1969, legale ma anche psicologa, nel 2010 era diventata la prima transgender ma anche la più giovane giudice in assoluto dell’Alta Corte di Giustizia.

Preoccupata per le conseguenze che la sentenza avrebbe avuto sulla tutela legale delle persone trans, McCloud aveva chiesto l’autorizzazione per intervenire nel contenzioso sollevato dal gruppo femminista For Women Scotland contro il governo scozzese, che si è concluso con il verdetto del 16 aprile. Ne avrebbe avuto facoltà pur non essendo tra le parti, ma la sua richiesta è stata respinta. E ora che la sentenza inglese comincia ad avere ricadute pratiche sulla comunità trans, la giudice ha intenzione di dare battaglia.

Il nodo riguardava la definizione legale di donna ai fini della normativa britannica sulle pari opportunità, l’Equality Act del 2010. Con una sentenza di 88 pagine, i cinque giudici della Corte Suprema britannica hanno stabilito all’unanimità che l’interpretazione debba basarsi sul sesso biologico. E ciò vuol dire che alle persone trans che abbiano ottenuto un “certificato” di genere non possono essere estesi tutti gli spazi e tutte le tutele previste per chi è donna dalla nascita. Come chiedeva il gruppo di femministe “critiche del genere” sostenuto dalla scrittrice JK Rowling: le attiviste scozzesi, che hanno vinto il ricorso, avevano portato in tribunale il governo di Edimburgo per una legge del 2018, che fissa quote rosa del 50 per cento nei consigli di amministrazione degli enti pubblici locali. Includendo nella definizione di donna anche le persone trans che abbiano ottenuto il riconoscimento di genere secondo i requisiti stabiliti dal Gender Recognition Act del 2004. La normativa approvata in risposta alle sentenze della Cedu contro il Regno Unito che ha permesso anche alla giudice McCloud di modificare legalmente il sesso di appartenenza dopo la transizione di genere compiuta alla fine degli anni ‘90.

«In questo caso giudiziario c’erano gruppi di protesta che si sono espressi a nome delle donne. Ma le donne comuni non erano effettivamente rappresentate nel loro insieme - sottolinea la giudice al Guardian - I disabili non erano rappresentati, e ora vediamo i conservatori affermare che le persone transgender devono usare i bagni per disabili, il che ha un impatto sulla vita delle persone disabili. Le conseguenze di tutto questo non sono state affrontate».

A seguito della sentenza, infatti, il governo di Keir Starmer, in bilico fino ad oggi nello schieramento ideologico sul tema, si è subito allineato alla decisione dei giudici. E la Commissione per le pari opportunità del Regno Unito ha fatto sapere che emanerà nuove linee guida sugli spazi riservati in base al sesso biologico. Spazi “esclusivi” per donne, che probabilmente riguarderanno bagni, spogliatoi, reparti ospedalieri, ostelli, prigioni, rifugi per donne vittime di violenza domestica e molto altro.

Un “aggiornamento provvisorio” del regolamento emanato dalla stessa Commissione ha già stabilito che nei luoghi di lavoro e nei servizi pubblici le persone trans non potranno usare i bagni riservati alle donne e agli uomini (biologici). Ma non è chiaro quali dovranno utilizzare, e con quali conseguenze: probabilmente avranno accesso soltanto alle strutture “intersex”, anche se «non ci sarà una polizia dei servizi igienici», chiarisce la Commissione.

Intanto nel Paese il caos e le polemiche dilagano, avvelenando il dibattito anche dentro il movimento femminista, spaccato tra chi difende i diritti della comunità Lgbtq+ e chi rivendica i diritti delle “donne biologiche”. Un clima “tossico” di cui vi è traccia anche nella lettera con la quale Victoria McCloud lo scorso anno ha comunicato le sue dimissioni: «Sono giunta alla conclusione - scriveva - che nel 2024 la situazione nazionale e l’attuale quadro giudiziario non saranno più tali da rendere possibile in modo dignitoso essere allo stesso tempo "trans” e giudici stipendiati e di un certo prestigio nel Regno Unito».