Il 25 luglio 2023 la Sezione Disciplinare del C. S. M. condannava la giudice Maria Fascetto Sivillo alla perdita dell’anzianità per un anno. Del collegio giudicante faceva parte, come giudice relatrice, l’avv. Rosanna Natoli (membro laico del C. S. M.), la quale il 3 novembre 2023, ancor prima di depositare la sentenza (pubblicata il 24 maggio 2024), promuoveva un incontro a Paternò ( CT) con la dott.ssa Fascetto, alla quale rivelava circostanze coperte dal segreto camerale, somministrandole perfino consigli strategici: nominare, in aggiunta all’avv. Taormina, altro difensore e non accanirsi più nei confronti della dott.ssa Sempronia, presidente della Sezione civile cui era addetta la Fascetto.

La Procura della Repubblica di Roma, ricevuta la registrazione fonografica dell’incontro eseguita segretamente dalla Fascetto, ha iscritto nei registri l’avv. Natoli, attribuendole i reati di violazione del segreto e di abuso d’ufficio, per avere inteso favorire la Fascetto. In attesa che entri in vigore - in data 25 agosto 2024 - l’abrogazione dell’art. 323 c. p. c. (disposta dall’art. 1, lett. b della L. 9 agosto 2024, n. 114), la Natoli non ha aderito all’invito a comparire davanti al P. R. di Roma, che l’aveva convocata.

Ella si è subito ‘ dimessa’ ( non dal C. S. M., ma) soltanto dalla Sezione Disciplinare, di cui è Vicepresidente, sicché – sempre che tali “dimissioni” non rilevino come rifiuto di atti d’ufficio - in tale funzione dovrà essere sostituita all’interno della Sezione Disciplinare dal membro supplente già designato. Ai sensi dell’art. 37 della L. 24 marzo 1958, n. 195, soltanto il C. S. M. – a garanzia della propria indipendenza – la “può” sospendere dalla carica, ma soltanto se sottoposta a procedimento penale per delitto non colposo (qual è per l’appunto l’art. 326 c. p.). La sospensione è deliberata a scrutinio segreto con la maggioranza dei due terzi dei componenti del C. S. M. Conseguirebbe la decadenza di diritto - nonché la sostituzione ad opera del Parlamento - se l’avv. Natoli fosse condannata con sentenza irrevocabile per delitto non colposo.

L’art. 78 del codice di rito Rocco, vigente nel 1958, definiva l’imputato «come colui al quale in un atto qualsiasi del procedimento viene attribuito il reato», ma illuminata dottrina (F. Cordero) attribuiva detta qualifica soltanto alla persona nei cui confronti è stato instaurato il processo, perché, «in senso tecnico “imputato” è termine correlativo ad “azione”». Questa interpretazione collima perfettamente con la dizione letterale e lo spirito del citato art. 37, che seleziona perfino il reato rilevante all’effetto della sospensione: «I componenti del Consiglio superiore possono essere sospesi dalla carica se sottoposti a procedimento penale per delitto non colposo».

Perciò, sebbene l’art. 78 cit. sia stato sostituito dal codice di rito attuale ( e abrogato espressamente dal d. lgs. 13 dicembre 2010, n. 212), nulla sembra opporsi all’operatività (facoltativa) della causa di sospensione dalla carica essendo, per un verso, chiarissimo l’intento del legislatore del 1958 e, per altro verso, non solo puntuale, ma perfino compatibile con la vigente definizione d’imputato, la fattispecie sospensiva.

Consegue che, contrariamente a quanto sostenuto da taluno, non ostacola tale conclusione l’artt. 335 bis c. p. p. (introdotto dal D. lgs. n. 150 del 2022, Riforma Cartabia) secondo cui - a garanzia della presunzione di non colpevolezza - la mera iscrizione nel registro degli imputati noti non è sufficiente per determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa a carico dell’avv. Natoli. Ben vero l’art. 104 quater att. c. p. p. dispone che tali effetti conseguono qualora sia stata esercitata l’azione penale nei confronti dell’avv. Natoli, come per l’appunto previsto espressamente già ( in sede propria) dalla citata legge del 1958 sull’istituzione del C. S. M.

In conclusione, sostituita (quanto meno) l’avv. Napoli nella carica di componente della Sezione disciplinare, sarà necessario attendere gli sviluppi dell’indagine avviata dal P. R. di Roma perché, qualora fosse esperita nei suoi confronti l’azione penale ex art. 326 c. p., sarebbe soltanto il C. S. M. a dovere decidere se sospenderla dalle funzioni attribuitele dal Parlamento.

Dopo appena un lustro dall’esplosione dello scandalo Palamara & Company, oggetto perfino delle interlocuzioni registrate dalla Fascetto, ancora una volta l’Ordine Giudiziario è chiamato – questa volta in apicibus - a dimostrare se sia in grado di ripiegarsi su sé stesso per risanarsi e risorgere. L’Utente finale della Giustizia attende e spera.